Funeralopolis – A Suburban Portrait (2017): Recensione

Funeralopolis – A Suburban Portrait, recensione del documentario diretto e prodotto da Alessandro Redaelli nel 2017

VOTO MALATI DI CINEMA 7.5 out of 10 stars (7,5 / 10)

Andrea “Felce” Piva e Lorenzo “Vashish” Passera hanno due “passioni” in comune: la musica e la droga.
Affiancare un termine così emozionante a quello crudo dell’uso di sostanze stupefacenti può sembrare fuori luogo, ma il viaggio intrapreso dai due ragazzi durante i novanta minuti di Funeralopolis – A Suburban Portrait evidenzia il loro principale attaccamento ai microfoni e alle spade, un modo come un altro -banalmente parlando- di evadere dalla realtà.

Entrambi cresciuti nella periferia di Milano, Felce e Vashish sono grandi amici e colleghi (rapper appartenenti alla Blacklist Crew), affini nei modi e nei pensieri ma introspettivamente diversi. Se Vashish sembra ormai omologato e condannato alla vita metropolitana, Felce sente il bisogno di tornare in uno stato primordiale lontano dal marcio, con il desiderio di immergersi nella natura e di “sniffare” solamente l’ossigeno che lo circonda.

La mano talentuosa del regista Alessandro Redaelli accompagna i protagonisti nei luoghi più underground di Milano, compreso un Cimitero dove i ragazzi cantano, si fanno e vivono la loro vita, mantenendo comunque una spiccata lucidità a tratti intellettuale accentuata dal “moderno slang” ambrosiano, con ampio spazio alla blasfemia fatta di rime e bestemmie varie nel corso del documentario.

Ovvio spazio ai riferimenti alle grandi pellicole sulla tematica della droga, come ad esempio il film Amore tossico, omaggiato dalla canzone Per Elisa di Alice, spesso inserita all’interno del documentario.
Il bianco e nero di Milano è solamente una cornice. Le strade, i locali, i palazzi che vediamo all’interno della pellicola sono infatti le strade che circondano tutti noi, i locali che frequentiamo, i palazzi che ci imprigionano. Per novanta minuti facciamo parte del degrado comprendendo il punto di vista dei ragazzi, vivendo le loro angosce, le paure e, perché no, la sfacciataggine con cui affrontano la loro vita.

Ad alto impatto visivo i vari momenti in cui i ragazzi si bucano nei punti del corpo più impensabili, tra cui il collo, di certo non consigliabili a coloro che hanno paura degli aghi oppure ai facilmente impressionabili.

«La droga è come una chiave che apre delle porte nel cervello»

Questa frase pronunciata da Vashish nell’allucinante sequenza all’interno della casa di un suo amico mette in risalto la consapevolezza delle loro azioni, senza cercare scuse oppure alibi.

Grandissima prova di regia del cineasta milanese Alessandro Redaelli, abile nel raccontare una storia forte in maniera chiara e lineare, coadiuvato dal contesto dell’hinterland milanese e dalla perfetta sincronia con i ragazzi che hanno partecipato alla realizzazione del progetto.
Funeralopolis – A Suburban Portrait si colloca prepotentemente al fianco delle pellicole e dei documentari che affrontano il difficile argomento della droga, risultando uno dei migliori -personalmente- visionati.

SITO: www.funeralopolis.it

TRAILER FUNERALOPOLIS – A SUBURBAN PORTRAIT

https://youtu.be/IC4yn2WdFxE

SEGUI MALATI DI CINEMA SU FACEBOOK