Ad Astra (2019): Recensione

Ad Astra, recensione del film diretto da James Gray con protagonista Brad Pitt. Uscito nelle sale italiane il 26 settembre 2019

VOTO MALATI DI CINEMA 9 out of 10 stars (9 / 10)

Durante la visione di questo film non faceva altro che venirmi in mente Magic Mike.
Cosa centra un film su degli spogliarellisti con un sci-fi drama?
La novità.

Proprio come Magic Mike nel 2012 portava per la prima volta sul grande schermo un film sulla oggettificazione sessuale dell’uomo, Ad Astra, sotto la maniacale direzione di James Grey (Civiltà perduta, C’era una volta a New York, Little Odessa), porta sullo schermo grigio qualcosa di mai trattato prima.
Ci troviamo circa metà secolo nel futuro, l’uomo ha colonizzato la luna, trasformandola in una sorta di Medio Oriente spaziale dove varie organizzazioni criminali e paesi si contendono le risorse, e ha colonizzato anche Marte che viene principalmente utilizzata come avamposto spaziale per le esplorazioni interstellari.
Roy McBride, interpretato da Brad Pitt, è un astronauta decorato che lavora sulla “antenna spaziale internazionale”, una sorta di antennone gigantesco che raggiunge la stratosfera per comunicare con possibili forme di vita extraterrestre.

Roy ha poco più di quarant’anni, nessun progenie, un matrimonio a pezzi e il trauma giovanile di quando fu lasciato da solo con la madre malata a 16 anni in seguito alla partenza del padre (interpretato dal celeberrimo Tommy Lee Jones) per Saturno, andato a condurre il progetto LIMA.
Il corso della sua esistenza sarà stravolto quando verrà mandato in missione per investigare su suo padre, dato per morto, poiché si crede che stia conducendo esperimenti dannosi per il sistema solare dalla base del progetto LIMA.

Questo film è il regalo di Brad Pitt a noi maschietti.
Innanzitutto un Pitt mai così in forma (da fan del biondo del Missouri, credo questa sia la miglior performance della sua carriera), che ha scavato a fondo nei suoi traumi personali, e anche in quelli di Roy, per regalarci un magnifico studio del personaggio riguardo la mascolinità.

In America è definita “toxic masculinity”, in italiano sarebbe “mascolinità tossica” (negli States è già da qualche tempo che si parla di questo, in Italia è ancora un concetto piuttosto sconosciuto), una tematica dannatamente interessante perché, proprio noi maschietti, non l’affrontiamo mai.
Elaborare i propri lutti, le proprie sofferenze, i propri dolori e le delusioni quando non si possono mostrare emozioni, quando bisogna sempre essere “l’uomo” della situazioni è praticamente impossibile, ed è questo che Roy dovrà (e dovremo, o meglio ancora dovremmo) affrontare.
Roy, come il padre, è un uomo tutto doveri e mascolinità. Nessun sentimento, nessun rimorso, nessun segno di debolezza a qualsiasi costo e in qualsiasi situazione (pensate che Roy nemmeno in punto di morte supera gli 80 battiti cardiaci al minuto).
Se appartenete al genere maschile, scommetto che stiate già realizzando qualcosa. O mi sbaglio?

Il matrimonio fallito con Angelina Jolie, l’educazione rigida del padre, l’alcolismo e la gabbia d’oro del successo. Brad ha scaricato tutto se stesso in questo ruolo.
Una delle cose più interessanti di questo film è come mostra i sentimenti, e per mostrare, intendo letteralmente. Ve ne accorgerete durante la scena nella camera anecoica, dove oltre a una delle scene di pianto più originali e meglio riuscite della storia del Cinema, vedrete il riassunto, in un minuto o poco più, del concetto di toxic masculinity e perché è insostenibile essere “veri” uomini.
Agli occhi di uomo questo film probabilmente sarà catartico, ma a quelli di una donna questo film sarà sicuramente una rivelazione.
Perché si è trattato di mascolinità in lungo e in largo, ma mai si è trattato di cosa significa sul piano personale ed emotivo essere maschi. Un punto di vista eccezionale per capire l’altro sesso da parte di un pubblico femminile.

Altro punto saliente è la fotografia di Hoyte Van Hoytema (Interstellar, Dunkirk, Her) e il production design di Kevin Constant (Geostorm, Passengers, End of Watch – Tolleranza zero).
Collirio per gli occhi.
La resa dello spazio, dei pianeti, dei veicoli spaziali e delle ambientazioni Lunari e Marziane è da dipinto. Ogni fotogramma di questo film potrebbe essere stampato su carta lucida e appeso al muro del MoMa di New York.
E attenzione anche alla colonna sonora di Max Ritcher, un lavoro azzeccatissimo.

L’unica pecca di questa pellicola è l’estrema marginalità dei ruoli di Ruth Negga (Agents of S.H.I.E.L.D., Warcraft: L’inizio, World War Z), che interpreta una Marziana mai stata sulla terra, di Liv Tyler (Il Signore degli Anelli – la trilogia, L’incredibile Hulk, Armageddon – Giudizio finale), che interpreta la moglie di Roy, e anche quello di Donald Sutherland, che per un breve lasso di tempo interpreta la “reflection” del nostro eroe.

Non c’è nulla da fare, più cerchiamo di allontanarci, più vogliamo tornare a casa.
Siate più fragili, più emotivi e meno duri con voi stessi.
Siate meno maschi e più uomini.