Tatami (2023): Recensione
Tatami (2023): Recensione
Tatami, recensione del film diretto da Guy Nattiv e Zar Amir Ebrahimi. Uscito nelle sale italiane il 4 Aprile 2024.
VOTO MALATI DI CINEMA (9 / 10)
In Tatami siamo subito catapultati sul tappeto che ospita i contendenti alla competizione all’interno della più prestigiosa gara internazionale. I giochi olimpici che sono croce e delizia di ogni atleta, traguardo e punto di arrivo per carriere che vedono nel sacrificio e nella abnegazione i due ingredienti fondamentali per riuscire a salire sul gradino più alto del podio che è metaforicamente l’ascesa al tetto del mondo per ammirare dall’alto tutto quello che si è affrontato ma soprattutto farsi lodare per la forza e la determinazione dimostrate.
Per Leila. atleta iranian.a e la sua allenatrice Maryam c’è un’ulteriore complicazione. Non basta essere forti e dare prova di poter battere l’avversario ma bisogna anche sperare di non dover affrontare atlete che appartengono a nazionalità invise al Paese al quale appartengono, l’Iran. Proprio la possibilità di incontrare in finale l’atleta israeliana armano la mano del regime e scatenano un pressing sempre più aggressivo nei confronti dell’atleta e della sua coach ma anche del suo mondo familiare che in patria da lontano la sostiene e la incoraggia come se la sua vittoria fosse anche la loro.
Il ritmo serrato, la colonna sonora incalzante e il sapiente utilizzo del bianco e nero fanno di tatami un film ad alto tasso adrenalinico che tiene sulla corda e trascina nel vortice della lotta impari fra una sportiva che vuole dimostrare quanto vale e la donna che si cela sotto lo hijab che comprime e schiaccia ogni forma di ribellione.
Leila non è disposta ad accettare una sconfitta a tavolino, a mentire inscenando un infortunio, non vuole piegarsi ad un bieco ricatto che la salvi dalla vendetta per non aver obbedito ad un ordine impostole dall’alto e sfida tutto e tutti pur di raggiungere l’obiettivo per il quale ha lottato per anni da sola nel silenzio con il duro lavoro del suo corpo sottoposto a dieta ferrea, costante allenamento, rigore ascetico e fatica sovraumana.
E’ una giudoka, un’atleta, una professionista ma è anche una donna e una madre e la dicotomia fra seguire il suo sogno e quello di naturale protezione verso la sua famiglia minacciata di ritorsioni che si fanno via via sempre più concrete è lacerante.
L’israeliano Guy Nattiv e l’iraniana Zar Amir Ebrahimi sono consci della forza intrinseca del conflitto a cui è sottoposta la protagonista e lo portano alla massima intensità, non aggiungendo distrazioni né altri elementi secondari al racconto, considerandoli superflui. Esiste solo la competizione, la gara e la concentrazione massima che in essa si profonde. Non sono ammesse deroghe, sviamenti, distrazioni, vie di uscita laterali. Esiste solo il tatami e i corridoi che portano ad esso.
Lotta con se stessi, braccio di forza con la fatica, rovello interiore fra obbedire ad un assurdo diktat politico o rimanere fedeli alla legge dello sport che insegna ad andare fino in fondo al limite delle proprie capacità senza accettare compromessi.
Un film duro, asciutto dove non c’è mai un momento di distensione. Solo gli sporadici momenti di telefonate e videochiamate con la famiglia sono una boccata di ossigeno prima di immergersi nuovamente in una vasca infestata da piranha sempre più affamati e desiderosi di aggredire la carne.
Immense le due protagoniste (Arienne Mandi nell’interpretare la judoka iraniana Leila Hosseini e Zar Amir Ebrahim nei panni dell’allenatrice Maryam) che recitano con i loro corpi, i loro sguardi intensi, i loro silenzi e coinvolgono lo spettatore nel loro tormento sia fisico che psicologico.
Il finale sensazionalistico non c’è ed è più funzionale così per non sminuire una storia che si fa paradigma di tutte le storie di oppressione, di coloro che rischiano la propria vita e quella dei propri affetti pur di non sottostare alle imposizioni di regimi totalitari che sono mossi da biechi interessi politici e non hanno nessuna remora nell’utilizzo di sistemi repressivi che tengano a freno ogni spirito di dissenso, uccidendo la libertà di ogni essere umano non allineato al sistema.