Made in Dreams (2024): Recensione

Made in Dreams (2024): Recensione

Made in Dreams, recensione dle documentari odiretto da Valentina Signorelli e Cecilia Zoppelletto. Uscito nelle sale il 6 Giugno 2024.

VOTO MALATI DI CINEMA 7.5 out of 10 stars (7,5 / 10)

Made in Dreams è un documentario di 73 minuti, prodotto da una produzione indipendente italiana, Daitona, insieme con Preston Whitman Productions, in collaborazione con California Pictures. Per descriverlo bastano pochi elementi di inestimabile valore.
L’incredibile vicenda di Amedeo Peter Giannini, personaggio che ha attraversato la storia, cambiando con la propria visione il mondo e la prospettiva di vita di milioni di persone dagli ultimi anni dell’Ottocento al 1949, attraversando anche  l’Occidente, partendo da uno sperduto paesino delle campagne liguri, Favale di Malvaro in provincia di Genova, per portare il proprio spirito imprenditoriale italiano nelle terre assolate di California, trasformando il destino di San Francisco. Questo senza tutti quei mezzi e quella rete mondiale che noi oggi diamo per scontata.

La sua eredità? Uno spirito che oggi si è perso: l’interesse e la capacità di investire nei sogni della gente. Fondatore della Bank of Italy nel 1904, divenuta nel 1927 Bank
 of America, e fondatore nel 1919 della Banca d’America e d’Italia, Giannini ha regalato al mondo la possibilità di realizzare i propri sogni, soprattutto a chi, come gli immigrati italiani e le immigrate italiane nel Nuovo Mondo, non aveva niente ed era emarginato dalla società americana, valorizzando per primo la possibilità di depositi di credito per le donne, che soltanto negli Anni Venti americani cominciavano ad affacciarsi al voto politico. Giannini intuì le potenzialità di progetti e idee trasformando l’economia occidentale e superando momenti di assoluta e drammatica criticità come la Grande Depressione. Tra i sogni più folli che ha promosso, c’era il cinema: dal finanziamento della prima Hollywood, a Niles e al lancio di star come Charlie Chaplin (Il monello, 1921, per dirne uno), dagli investimenti  concessi a Walt Disney (Biancaneve e i sette nani, 1937) a Via col vento (1939, Victor Fleming) e alle amate pellicole di Frank Capra (Accadde una notte, 1934, e La vita è meravigliosa, 1946). Persino l’ingegnere Joseph Strass nel 1932 gli presentò un “progettino” e San Francisco si ritrovò il Golden Gate, uno dei ponti più apparsi nel cinema hollywoodiano. Insomma, un uomo che non si è lasciato sfuggire nulla e ha incarnato la più positiva prospettiva possibile del capitalismo: il finanziamento di idee che crea occupazione, il denaro come strumento d’investimento e ponte per lo sviluppo economico e culturale, incentivando un sistema circolare che oggi sembra essersi inceppato. Guardando il documentario si ha l’impressione che la storia si sia bloccata. La vicenda di Giannini sembra ancor più incredibile vista dagli occhi odierni di un Paese, l’Italia, che non conosce ripresa economica dal 2008 e che vede fallire di continuo promesse di crescita e sgretolarsi prospettive future di generazioni di giovani.

Oggi quel capitalismo che poteva essere produttivo, di cui il cinema come industria e come arte si nutre, lo associamo ad un sistema che divora tutto ciò a cui può arrivare, che non ha più interesse nel far crescere progetti pregni di autenticità e non alimenta la fabbrica dei sogni, mentre il settore  audiovisivo vive un nuovo momento di crisi, tra tagli ai fondi, ostacoli tecnologici ai diritti sociali, creazione di
disoccupazione, rischi di fallimento per le sale cinematografiche.
Oltre ad una storia incredibile, altro elemento di Made in dreams è un lavoro
appassionato che dà corpo ad un ritratto dinamico e coinvolgente di un pezzo di storia, economica, culturale, sociale nonchè cinematografica  dell’Occidente, fatto di radici italiane impiantate in America: negli ultimi decenni il grande cinema si è ricollegato all’America, ed è strano a pensare che siano stati i risparmi di immigrati e
immigrate italiani/e a dare vita a Hollywood. Forse noi possiamo ritrovare lo spirito
italiano che ha guidato la famiglia Giannini verso la costruzione e ricostruzione della storia più volte.

Un attento lavoro di recupero e trattamento dei materiali di repertorio gestito con
un ritmo cadenzato, a cui si unisce una struttura emersa spontaneamente, dalla
partecipazione entusiastica di persone che in America conservano una memoria
popolare straordinariamente positiva di Giannini. Un’estetica precisa, inusuale e
accattivante e un uso della musica e del sonoro particolarmente moderno e attento si intrecciano in un taglio documentaristico decisamente atipico, che mescola interviste a parti recitate dall’attore Giorgio Cantarini (il piccolo Gioele di La vita è bella, ma anche il figlio del gladiatore più famoso dell’immaginario collettivo, Massimo Decimo Meridio, ne Il gladiatore di Ridley Scott), che sensibilmente danno voce all’immigrazione italiana in America tra Ottocento e Novecento: l’America dei Dagos, insulto etnico conferito all’immigrato italiano negli Stati Uniti allora, una parte della società in cui Giannini ha invece creduto, abbracciando progetti che
davano lavoro alla manovalanza italiana e regalarono sogni concretizzati al mondo intero.
Nell’industria cinematografica italiana quel che manca spesso è proprio il sostegno,
motivato ed economico, a progetti creativi emergenti ed esiste una grossa disparità.
Forse l’innesco del cambiamento sta proprio nel tornare a quell’intuizione genuina e disinteressata che ha spinto tra Ottocento e Novecento un banchiere italo-
americano a concedere cifre incredibili a persone con sogni importanti che avrebbero lasciato il segno. Oggi il denaro non è più tanto lo strumento, quanto il fine di un investimento nei settori artistici e questo ha mutato radicalmente il
panorama della produzione artistica.

Trovo in Made in dreams un messaggio importante per il momento critico in cui esce
in sala, il 6 giugno 2024, a due giorni di distanza dalle proteste nelle piazze italiane da parte di chi lavora nel settore audiovisivo: il cinema ha bisogno di essere
sostenuto, di fiducia e di finanziamento, in un binomio economia-spettacolo che
generi benefici reciproci grazie all’investimento nell’atto creativo. Il cinema è
un’industria prima che un’arte e nasce spinto in avanti dall’intuizione di chi poteva
produrlo, quindi finanziarlo, e si nutre del capitale per creare opere. Forse il documentario, attraverso anche l’ambizione della produzione indipendente italiana che lo ha realizzato, ha anche il merito di infondere un messaggio ancora più profondo e potente nel panorama attuale: un messaggio di incoraggiamento a chi crea, perché esiste ancora chi nei sogni ci crede ed è disposto a concretizzarli, a chi ha capacità di investire, perché esiste un’energia proattiva in grado di portare qualcosa alla società, e a chi fruisce, perché esistono opere valide, lavoro valido di persone, ed esercizi commerciali, quali le sale cinematografiche, che ancora regalano ogni giorno sogni alla gente. Quindi il panorama non è poi così catastrofico, finché ci
sono parti della società che conservano fiducia nella propria natura e attività creativa e sostengono altre realtà.

Del resto chi fa cinema è combattente di natura e un ambizioso spirito italiano come
il modello Giannini potrebbe aggiungersi come ispirazione sia per i sistemi finanziari
e bancari odierni che per chiunque oggi crei e abiti il mondo, rendendoci consapevoli anche che tutti/e abbiamo un ruolo, chi lavora, chi fruisce, le nostre abitudini
culturali, i nostri gusti e anche la forza con cui crediamo nei progetti nostri e altrui: le
forze motrici della storia e del cinema.