La Giuria (2003): Recensione
La Giuria (2003)
VOTO MALATI DI CINEMA (7,5 / 10)
Tratto da un romanzo di John Grisham (del 1996) nel 2003 esce nelle sale americane “La Giuria” (titolo originale: Runaway Jury), quarto lungometraggio del regista Gary Fleder (Il Collezionista, Don’t Say A Word), un mestierante per quanto riguarda il genere Thriller.
Il film vede la luce sette anni dopo la pubblicazione del romanzo, cambiando radicalmente la tematica (dalle società di tabacco di Grisham alla società di armi della pellicola), restando però fedele nei personaggi e nello svolgimento.
Un broker viene ucciso per mano di un folle ex impiegato di un’azienda con un colpo di arma da fuoco, con seguente denuncia da parte dei familiari alla ditta che ha prodotto la pistola, accusata di vendere le loro armi in maniera superficiale a chiunque, senza tenere conto dei requisiti del compratore.
Il processo sarà lungo e carico di tensione, anche perché ci sono in ballo molti milioni di dollari e soprattutto una decisione a favore dei familiari stravolgerà il mercato della vendita di armi.
Parte importante nella contesa è sicuramente la giuria, decisiva ai fini del risultato, che vede come punto cardine Nicholas Easter (John Cusack) ,all’apparenza riluttante all’idea di partecipare, sarà determinante anche per via del suo ignoto passato.
Già, ignoto passato, talmente oscuro da mettere in difficoltà persino Rankin Fitch (Gene Hackman), consulente che lavora sotto traccia per via della società di armi, incaricato di gestire e pilotare la Giuria a scegliere l’esito dell’assoluzione, anche con modi violenti e meschini.
Non è il solito film da “tribunale” fatto solo di dialoghi e cavilli burocratici, ma abbiamo al suo interno anche molti altri componenti e fattori che arricchiscono la pellicola, come ad esempio il ruolo di Rankin Fitch, interpretato magistralmente da Gene Hackman, personaggio intelligente che agisce dietro le quinte di un processo, fronteggiato da un avvocato incorruttibile (Dustin Hoffman), da un giurato indecifrabile (John Cusack) e da un alter ego inaspettato (Rachel Weisz).
Rankin Fitch è un vincente, un uomo che già in passato ha avuto a che fare con queste situazioni avendo avuto sempre la meglio, tanto da chiudere uno spettacolare battibecco con l’avvocato Wendell Rohr esclamando la frase: «Vedi Rohr, tu potresti anche avere ragione, ma fondamentalmente me ne sbatto e me ne sono sempre sbattuto!».
Arroganza di chi è consapevole di avere sempre la vittoria in tasca, ma l’inconsapevolezza di avere a che fare questa volta con persone pronte alla battaglia, una guerra psicologica e non solo piena di colpi di scena.
Abbiamo a che fare con un film pulito nella struttura, dove la sceneggiatura non mostra difetti e il ritmo si tiene su alti livelli.
Come detto in precedenza, il cast è di sicuro affidamento. Uno su tutti Gene Hackman, antagonista perfetto capace di annichilire i suoi colleghi, seppur a loro agio nelle varie interpretazioni, Dustin Hoffman compreso.
Pellicola assolutamente consigliata!
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