Il padre d’Italia (2017): Recensione
Il padre d’Italia, recensione del film drammatico diretto da Fabio Mollo nel 2017 con protagonisti Luca Marinelli e Isabella Ragonese
VOTO MALATI DI CINEMA (7 / 10)
Il cinema italiano tanto vituperato è ancora in grado di regalare emozioni e sceneggiature fresche. Esempio lampante lo si può trovare ne Il padre d’Italia, pellicola scritta e diretta dal calabrese Fabio Mollo al suo secondo lungometraggio dopo Il sud è niente del 2013.
Paolo è un ragazzo omosessuale che viene da una storia sentimentale finita dopo otto anni. La sua già fragile personalità viene scossa ulteriormente dalla vicenda e, chiudendosi ancor più in se stesso, gira per locali senza un determinato scopo quando per caso incontra Mia, una ragazza incinta che gli sviene tra le braccia all’interno di una discoteca. Da quel giorno la vita di Paolo cambia. Spinto dalla sua generosa indole decide di aiutare la ragazza, dalla personalità totalmente differente dalla sua. La vita grigia e nera di Paolo viene quindi contrastata dai vivi colori accesi di Mia, che instaurerà con lui un rapporto totale e puro. Quello che ne sussegue è un disperato viaggio in giro per l’Italia, ma il vero viaggio è quello interiore che vedrà i due protagonisti alla ricerca di un qualcosa che manca ad entrambi.
Dopo l’apprezzato Il sud è niente, il talentuoso regista Fabio Mollo si conferma con Il padre d’Italia, road movie che tocca i cuori per la fragilità dei protagonisti, specialmente riscontrabile nel personaggio di Paolo interpretato da un fantastico Luca Marinelli (Non essere cattivo, Lo chiamavano Jeeg Robot), un ragazzo omosessuale che va oltre gli steccati e risulta essere innamorato dell’amore, senza distinzione alcuna. Il suo è un prototipo di persona bella, buona e gentile disposta a cambiare vita, non eccelsa in realtà, per aiutare una ragazza in difficoltà, Mia, interpretata dalla bravissima Isabella Ragonese (Il giovane favoloso, Questione di karma), che rispecchia il modello della vita moderna fatta di eccessi ed innocente menefreghismo. Quello che li accomuna è il fatto di essere due vittime del Sistema, raccontato in modo secondario ma marcato. Paolo è un ragazzo cresciuto in orfanotrofio, abbandonato dalla madre appena nato, mentre Mia ha deciso di lasciare il suo paese d’origine perché soffocata da una madre severa e snobbata da un padre che sembra avere molte cose in comune con la ragazza (indicativa la scena del saluto tra i due).
La pellicola è piena di sentimento e strizza l’occhio in alcuni frangenti al vecchio cinema italiano a noi tanto caro.
Le musiche curate da Giorgio Giampà hanno un ruolo importante all’interno del film, collocate in modo perfetto e coadiuvate da alcuni grandi successi come Non sono una signora e Il mare d’inverno di Loredana Bertè, cantante che per certi versi ricorda molto la protagonista.
Il padre d’Italia è un film di un “triste ottimismo” che fa bene al cuore, commuove e lascia qualcosa dentro. Da guardare assolutamente.
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