The Mule – Il Corriere (2018): Recensione

The Mule – Il Corriere, recensione del film diretto e interpretato da Clint Eastwood. La pellicola è uscita nelle sale italiane il 7 febbraio 2019

VOTO MALATI DI CINEMA 7.5 out of 10 stars (7,5 / 10)

The Mule – Il Corriere arriva a meno di un anno di distanza dal tutt’altro che esaltante 15:17 – Attacco al treno e a dieci da Gran Torino, l’ultima volta che il 5 volte Premio Oscar Clint Eastwood si era seduto dietro la macchina da presa essendo, al contempo, anche protagonista assoluto e produttore.

Clint Eastwood è questo film, e questo film è lui. Non soltanto per la credibilità e la profondità che riesce ad imprimere al suo personaggio (Earl Stone), ma proprio perché riassuntivo di una parabola professionale e di vita che non possono essere prese in esame se non assieme.
Non è un caso che Iris, la figlia di Earl, sia interpretata dalla vera figlia di Eastwood (Alison), perché quell’uomo misogino, quel padre severo, conservatore e troppo innamorato del proprio lavoro per seguire la vita e la crescita della propria famiglia, non è così dissimile da quell’attore, regista, sceneggiatore, produttore, compositore, imprenditore e politico che, alla soglia dei 90 anni, si ritrova a fare i conti con il suo passato ed i suoi rimpianti.

The Mule è un film testamento, crudo e scarno, un po’ come il suo personaggio e regista, onesto come chi sente di non aver più troppe occasioni per esserlo: è una vera e propria dichiarazione di colpevolezza e consapevolezza.

Cosciente di aver perso la propria famiglia, Earl sente la necessità di riunire i pezzi di una vita passata a coltivare quel fiore raro per cui è stato premiato più volte, ma che ora lo ha reso un uomo solo e povero. Povero perché, in seguito al crollo economico, è stato costretto a vendere la propria abitazione nell’Illinois per pagare i debiti, e ora non gli resta che il suo vecchio pick-up e l’accenno di un rapporto con la nipote Ginny (Taissa Farmiga). Userà questo ponte per tentare un ravvicinamento con l’ex-moglie Mary (Dianne Wiest) e con la figlia Iris, ma i problemi economici non faranno altro che dimostrare loro il suo epilogo fallimentare. È proprio in questo momento, apparentemente di non ritorno, che arriva il colpo di scena. Il fidanzato della nipote le dà un numero da chiamare, e sarà quel contatto a risolvergli molti problemi, facendolo di fatto diventare un mule, ovvero un corriere della droga. Come fa un uomo di quell’età a diventare un mule? Dalla sua un invidiabile “curriculum” da guidatore, con 41 Stati calpestati su 50, senza mai una multa o un’irregolarità. Nonostante gli ottimi presupposto, vedrà imporsi contro di sé la DEA (Drug Enforcement Administration), rappresentata dall’agente Colin Bates (Bradley Cooper), che indagherà sui traffici del cartello per cui Earl lavora.

A rendere all’agente le cose più difficili concorrono l’impassibilità e la presenza rassicurante del protagonista, che però avvicinano lo spettatore fin da subito. Ci si sente presto lì accanto a lui, a bordo della sua Ford, su quelle strade deserte, che percorre giorno dopo giorno, quasi come in un rito che richiama la spontaneità delle più piccole azioni quotidiane.

Nel suo creare un ritmo “disteso” e lontano dalle sensazioni di ansia e inquietudine che ci si aspetterebbe da una storia che parla di droga, il film è tutt’altro che scontato. Il taglio alternativo sul tema si carica di ulteriore valore se alla trama sovrapponiamo la cifra autobiografica del regista/protagonista e l’ingrediente fattuale degli eventi cui la sceneggiatura si ispira. Leo Sharp era infatti un veterano della Seconda Guerra Mondiale, come Earl Stone lo è della Guerra di Corea, e chi se non Eastwood avrebbe potuto far propria quella storia letta nel 2011 sul New York Times su un ex soldato 90enne che è stato il più remunerato corriere di droga al mondo? Se lo avete visto saprete rispondere: nessuno. Se non lo aveste ancora visto non è troppo tardi per rimediare.