Downsizing – Vivere alla grande (2017): Recensione
Downsizing – Vivere alla grande, recensione del film scritto e diretto da Alexander Payne con protagonista Matt Damon. La pellicola è uscita nelle sale statunitensi il 22 dicembre 2017
VOTO MALATI DI CINEMA (7,5 / 10)
Il film che ho deciso di recensire è Downsizing. Vedendo il trailer mi ha incuriosito sin da subito l’idea (o forse meglio chiamarla intuizione) che ha avuto il regista (Alexander Payne): ridimensioniamo gli esseri umani per risolvere i problemi dell’umanità, è questa l’unica soluzione.
Il film è ambientato in una città del Nebraska (ricordate il film precedente del regista, che si intitolava appunto “Nebraska”?). In un futuro non ben specificato, gli esseri umani sperimentano una soluzione “fantasiosa” ai mali capitali che affliggono la loro specie, come l’inquinamento ambientale, il surriscaldamento globale, il consumo energetico e la possibile terza guerra mondiale: rimpicciolire gli uomini ad un’altezza di 12 cm. Paul e Ashley sono una coppia “infelice” poiché non abbastanza ricca per potersi permettere una bella casa ed avere una bella vita, così decidono di sottoporsi all’intervento per ridimensionarsi. La moglie però si tira indietro all’ultimo momento ed il protagonista si troverà a dover affrontare le conseguenze della sua decisione da solo. Nel suo “viaggio” incontrerà un vicino di casa ricco e potente, un’attivista rivoluzionaria vietnamita, uno scienziato, Jorgen, una delle menti che hanno ideato la riduzione: un viaggio che avrà il sapore dell’avventura.
Il regista sviluppa diversi temi nel corso del film. Il primo tema messo in evidenza è quello della sovrappopolazione e del conseguente problema dell’inquinamento, risolto in una maniera davvero creativa con l’idea della miniaturizzazione, attribuita ad un visionario scienziato norvegese. Il secondo tema invece è quello della contrapposizione tra ricchezza e povertà: rimpicciolendosi le persone povere possono diventare ricche e realizzare il sogno americano, avendo così una bella casa e una bella vita. Il taglio registico dato alla vicenda rivela un’aspra ed esplicita critica alla società consumistica tipicamente presente negli Stati Uniti. I due coniugi sono due borghesi che per essere felici devono diventare dei “piccoli piccoli” borghesi, ma il protagonista si ritroverà a dover fare i conti con un sdoppiamento del sogno americano, da vivere da solo, facendoci riflettere sul valore nullo delle cose materiali quando non abbiamo qualcuno con cui condividerle. Un terzo tema che il regista sembra sviluppare è quello dei diritti civili: è giusto che i ridimensionati votino se non pagano le tasse e non contribuiscono all’economia globale? D’altra parte il welfare collasserebbe se tutti sceglierebbero di ridimensionarsi. L’ultimo tema che ho osservato nel film è quello del viaggio e della transizione (come già succedeva in “Nebraska”: Paul cambia dimensioni, cambia casa, cambia i propri sentimenti, cambia visione del mondo. Tali mutamenti si sviluppano nel corso del film attraverso la sua dimensione: deve rimpicciolirsi per crescere in un altro modo.
Se dal punto di vista cinematografico questi temi sono ambiziosi e forse non sono davvero affrontati in maniera appropriata, l’aspetto che mi ha fatto riflettere sul film è la dimensione psicologica del protagonista. Durante la visione del film la frase che mi ha colpito in particolar modo è la seguente: “Il mondo in miniatura è pieno di cose da vedere”. Questa frase viene detta dal vicino di casa al protagonista e credo che in essa ci sia un concetto fondamentale da sviluppare. Il protagonista per vedere un sacco di cose, per realizzare i suoi sogni, per essere felice, per trovare un senso al suo esistere, ha la necessità di ridimensionarsi, perché deve fare i conti con il limite, con il rimpicciolimento. Si diventa grandi diventando piccoli, si superano i limiti nel momento stesso in cui viene ci poniamo il primo.
Sia in psicologia che in pedagogia il concetto di limite, di ridimensionamento, meglio definibile come il ”no”, ha una valenza educativa nel momento in cui il ridimensionamento è considerato come una possibilità, e non come un’incapacità. La soluzione che ci fornisce il regista è geniale, considerare uomini piccoli piccoli a cui si aprono le porte del mondo e della felicità. Il regista trascende il valore terapeutico del limite e del confine, sconfinando su un piano sociale. Al contrario il protagonista da ridimensionato è in grado di transitare da una condizione di stallo e di infelicità, ad una dove ha delle possibilità. Paul nel momento in cui si rimpicciolisce inizia a scegliere, e tale consapevolezza avviene in maniera graduale, mentre insegue la possibilità che si dà dentro di sé. Così il protagonista diventa “grande” ridimensionandosi, facendo i conti con i propri e altrui limiti
Il regista riformula la frase biblica: “bisogna tornare bambini per entrare nel Regno dei Cieli” nella versione “per diventare ciò che sei, per realizzare ciò che vuoi essere, sei costretto a fare i conti con i tuoi limiti e crescerai nel momento stesso in cui li accetterai”. Per scomodare un noto psicoanalista, Lacan, fa che la legge del padre (riformulata come limite e confine) diventi il tuo desiderio. Rendi la legge il desiderio, e nel momento in cui ciò avviene ti sentirai un oggetto piccolo piccolo, che ha bisogno di desideri per diventare un soggetto: un adulto capace di desiderare e di realizzare i propri sogni.
Per concludere, proprio un bel film da vedere.