La terra dell’abbastanza (2018): Recensione
La terra dell’abbastanza, recensione del film scritto e diretto da Fabio D’Innocenzo e Damiano D’Innocenzo. Uscito nelle sale il 7 giugno 2018
VOTO MALATI DI CINEMA (7,5 / 10)
Manolo (Andrea Capezzano) e Mirko (Matteo Olivetti) sono due giovani amici “borgatari” uniti dal sogno di diventare bartender. Una sera, uccidono involontariamente un pentito della mafia romana e ne approfittano per ottenere da questa un lavoro: tra rimorsi e conflitti, diventeranno sicari e “magnaccia” di prostitute minorenni.
Brutale e arrabbiato, il film d’esordio dei fratelli D’Innocenzo scaraventa i suoi due protagonisti in un mondo buio e capovolto per far recitare loro, al contempo, il ruolo di vittime e carnefici.
Appare fin troppo semplice evocare per questa folgorante opera prima il fantasma di Pasolini e di quel sottoproletariato di borgata a lui tanto caro. Manolo e Mirko sono in qualche modo i discendenti di quei “ragazzi di vita”, ma ormai disperati e incattiviti. Manca nello sguardo dei fratelli D’Innocenzo la poesia e l’indulgenza per gli “umili” del grande intellettuale friulano. I due registi propongono da subito una narrazione cupa e crudele. La rabbia di Mirko e la rassegnazione di Manolo, segni differenti della consapevolezza del male e dell’incapacità di opporsi ad esso, non cercano la clemenza dello spettatore. I due sono sconfitti in un mondo di sconfitti; e non v’è alcunché di speciale nelle loro vite, se non la plastica esibizione di un processo di dissoluzione inesorabile ove qualsiasi ribellione è ferocemente negata.
La periferia è il grande scenario degradato, che, anziché cornice, si fa vero protagonista, motore immobile dello scempio.
Insomma, tutto è potentemente ed efficacemente volto al negativo in questo racconto cinematografico che colpisce per intensità e credibilità.
Ottimamente scritto e diretto, egregiamente interpretato dal duo Capezzano-Olivetti, il lungometraggio ospita cammei deliziosi di Luca Zingaretti e Max Tortora. Da incorniciare anche la prova di Milena Mancini, nel ruolo della madre di Mirko.
Presentato al Festival Internazionale di Berlino nella sezione “Panorama”, La terra dell’abbastanza si inserisce nel filone narrativo dei sobborghi già felicemente percorso dalle nuove leve cinematografiche italiane [tra cui l’altra coppia romana Botrugno-Coluccini (“Et in terra pax”)], al punto che ormai può parlarsi di un nuovo cinema del realismo sociale, immediato erede di quello del compianto Claudio Caligari; il cinema degli ultimi, dei poveri, degli emarginati; il cinema delle periferie, dunque. Ma per dire cosa? Che le borgate sono “brutte, sporche e cattive”, oppure che queste siano soltanto l’espressione più ingenua ed evidente di un vuoto pneumatico maggiore, che va riempiendosi di odio e paura?
Quale che sia la risposta, La terra dell’abbastanza è un film assolutamente interessante e di grande impatto emotivo, e dei fratelli D’Innocenzo -se tutto filerà per il verso giusto- si sentirà a lungo parlare.