Fantozzi (1975): Recensione


Fantozzi, recensione del film diretto da Luciano Salce, scritto e interpretato da Paolo Villaggio. Uscito nelle sale italiane il 27 marzo 1975

VOTO MALATI DI CINEMA 10 out of 10 stars (10 / 10)

45 anni fa, il 27 marzo 1975, usciva al cinema Fantozzi, il film che ha cambiato per sempre la comicità italiana, creando un’icona entrata nell’immaginario popolare. Fantozzi nasce da una serie di libri scritti da Paolo Villaggio. Il primo libro del 1971 ha venduto oltre un milione di copie. Da qui l’idea di realizzare un film: “Fantozzi”, con la regia di Luciano Salce, che diventa subito campione d’incassi. Il successo venne bissato l’anno successivo con “Il secondo tragico Fantozzi”. Da quel momento in poi ha inizio una delle saghe più longeve del cinema italiano con ben dieci film. Dal terzo in poi diretti da Neri Parenti e l’ultimo da Domenico Saverni.

Una rivoluzione comica
Fantozzi rivoluziona completamente la comicità italiana. La commedia all’italiana fino ad allora si è sempre basata sul realismo, sui drammi raccontati in maniera comica. Con Fantozzi arriva il surreale, molti gradi sopra la realtà, in cui succedono cose irreali ma capaci di spiegare la realtà meglio dei trattati sociologici. C’è una forte comicità fisica che vede il corpo di Fantozzi soggetto alle peggiori umiliazioni: affogato con la faccia nella torta, usato come parafulmine, venduto come un pesce su una bancarella. Ci sono effetti sonori e visivi innovativi per l’epoca come le ustioni date dagli asciugamani roventi, la nuvola dell’impiegato, l’apparizione di Dio, gli uragani e le valanghe come conseguenza di rutti. Una comicità che in Italia non è mai esistita, più vicino allo stile inglese nonsense dei fratelli Zucker o dei Monty Python.

Il senso del grottesco
I film di Fantozzi sono privi di una trama propriamente detta, sono una serie di piccoli cortometraggi che vedono il protagonista coinvolto in varie situazioni. All’interno ci sono gag che si ripetono di film in film: l’urlo liberatorio per sfogarsi del dolore, la lingua da un lato della bocca quando è eccitato, il mangiare di nascosto masticando avidamente, la paura ogni volta che compare sua figlia. E soprattutto la continua storpiatura del suo cognome, simbolo di un uomo medio che nessuno ricorda. Fantozzi porta il grottesco al suo massimo livello, in cui si fondono il tragico e il comico, cambiando il nostro modo di ridere. Un film che ancora oggi non ha perso la sua carica comica, a differenza di molte commedie considerate dei capolavori che riviste oggi non suscitano nessuna risata.

L’italiano medio
Per la prima volta viene rappresentato al cinema il ceto medio e impiegatizio. Fino ad allora nella commedia all’italiana era stato protagonista il sottoproletariato, i poveracci usciti dalla guerra che cercavano di sopravvivere (mentre nel cinema italiano di oggi c’è solo o la borghesia o la periferia). Alla fine degli anni 70 l’Italia stava per diventare un paese industriale, stanno arrivando gli anni 80 e Fantozzi rappresenta in pieno la nuova Italia. L’impiegato medio-borghese dallo stile di vita semplice che vuole scalare le classi sociali cercando di partecipare agli hobby della nuova Italia ricca (il tennis, lo sci) ovviamente con esisti disastrosi. La classe media è la maggioranza silenziosa di questo paese e Fantozzi la mette per la prima volta al centro del racconto, mostrandola nei suoi difetti. Si rivolge al pubblico popolare, criticando loro stessi senza che se ne accorgessero.

Il mondo del lavoro
Il mondo del lavoro non è mai stato mai rappresentato così bene come in Fantozzi. L’ufficio sinistri è un campionario della peggiore umanità: la brutta Silvani che ammalia tutti, il ragioniere Filini organizzatore indefesso, il Geometra Calboni arrivista e ruffiano. Fantozzi subisce angherie e maltrattamenti da parte dei colleghi di lavoro e dai suoi superiori senza mai reclamare. Ci sono megadirettori galattici che sfruttano i lavoratori con finta bontà e lavoratori competitivi tra loro e adulatori con i propri superiori. Una satira sul mondo del lavoro, sulla fine della lotta di classe, che non risparmia né padroni e né lavoratori.

La famiglia di Fantozzi
L’italiano medio umiliato sul lavoro sfoga la sua frustrazione in famiglia. La famiglia di Fantozzi è composta da una moglie insignificante e da una figlia brutta. Fantozzi è un tiranno in famiglia, urla, comanda, vuole solo mangiare e guardare la tv. Meraviglioso il rapporto con la moglie Pina interpretata dalla grande Milena Vukotic, l’unico barlume di umanità, che non riesce a dirgli ti amo ma solo “ti stimo molto”. Lasciano il segno i suoi sguardi durante le varie umiliazioni del marito. Fantozzi sogna di amare la signorina Silvani, che lo sfrutta in molte occasioni. Una donna più brutta della moglie, ma che gli serve per evadere dalla sua quotidianità.

Foto presa da iMdb

La rivoluzione del linguaggio
Fondamentale è poi il grande impatto della saga sul linguaggio e sulla cultura italiana. Fantozzi ha cambiato il nostro modo di parlare: coniugazioni temporali sbagliate (vadi, Contessa; Batti lei), nuove espressioni (92 minuti di applausi o Com’è umano lei), aggettivi drammatici per raccontare un normale evento (un tragico venerdì, una vacanza agghiacciante, una donna mostruosa). Come non citare poi la celebre battuta sulla corazzata Potëmkin definita da Fantozzi “una cagata pazzesca“. Oltretutto, “fantozziano” è un aggettivo entrato nel vocabolario per indicare una persona impacciata e servile. Quanti comici o artisti possono dire di essere entrati nel dizionario? Paolo Villaggio è uno dei più importanti intellettuali di questo paese perché ha cambiato il linguaggio di una nazione.

Ridere di noi
Fantozzi è la più riuscita maschera del nostro cinema dopo Totò. La maschera diventa simbolo di una cultura e descrive un’epoca. Oggi Ugo Fantozzi non esiste più perché non esistono più il posto fisso e gli impiegati. Se prima Fantozzi veniva visto come uno sfigato, ora è considerato quasi un modello. In un’Italia impoverita in piena crisi, la vita di Fantozzi non fa più pena, ma anzi invidia. Non è un caso che il posto fisso sia al centro del film più amato della maschera simbolo degli ultimi anni: Checco Zalone. Molti dicono che Fantozzi non fa ridere ma anzi mette tristezza. Probabilmente perché l’italiano medio ha paura di riconoscersi in lui, nelle sue umiliazioni e debolezze. Oggi mette lo spettatore in crisi, a disagio, in un momento storico in cui la comicità popolare non deve disturbare. Come disse Villaggio: “Tutti credono di riconoscere in Fantozzi il proprio vicino, i conoscenti: nessuno ammette di riconoscere sé stesso”.