Feathers (2021): Recensione

Feathers, recensione de film diretto da Omar El Zohairy, in Concorso al 39° Torino Film Festival e vincitore ex aequo con El Planeta di Amalia Ulman. In uscita nelle sale francesi dal 23 marzo 2022

VOTO MALATI DI CINEMA 8 out of 10 stars (8 / 10)

In Concorso al 39° Torino Film Festival e vincitore ex aequo con El Planeta di Amalia Ulman, Feathers, il film egiziano già vincitore alla Semaine de la Critique al Festival di Cannes, sorprende e resta inciso nella memoria degli spettatori per il suo essere così estremamente duro, assurdo, sporco e violento.

Durante la festa di compleanno del figlio di quattro anni, un autorevole padre di famiglia viene trasformato in un pollo da un mago. Da quel momento una valanga di assurdità si presentano improvvisamente una dopo l’altra, stravolgendo soprattutto la vita della moglie dell’uomo, madre e donna di casa da sempre dedita ai suoi cari e pochissimo a sé stessa. Toccherà a lei prendere le redini della famiglia e fare di tutto per riportare il marito alle condizioni di sempre. La donna non sa, però, che presto toccherà a lei subire una trasformazione totale.

Omar El Zohairy, il promettente regista di questo film mette in chiaro fin da subito l’approccio cinematografico e narrativo con l’immagine probabilmente più dura e significativa dell’intero film, ossia un uomo dato alle fiamme che lentamente brucia e muore collassando tra grida e rovine che alle sue spalle restano lì, come sul punto di crollare, ma ancora salde, anche se per poco.

Feathers è infatti un film che si concentra e riflette sulle rovine. Da quelle psicologiche a quelle ambientali e dunque di contesto sociale in cui questo bizzarro ed estremamente povero nucleo familiare si ritrova non a vivere, ma a sopravvivere.

Tutto è crollato e l’umanità è svanita, sia da un punto di vista metaforico (la trasformazione in animale di un uomo da sempre legato alla sua vita e a quella della sua famiglia), sia da un punto di vista scenografico. L’abitazione in cui la famiglia sopravvive infatti non è altro che un palazzo in rovina, destinato ad un crollo imminente che lo spettatore teme dalla prima all’ultima inquadratura del film. Tutto è sporco, dai volti, alle strade, fino ai palazzi e ai colori dell’ambiente.

Feathers è un film che lavora ai limiti della genialità sulle sensazioni forti e decisive scaturite dalla sporcizia estrema legandole così ad un senso profondo di disumanizzazione, a partire dalla distruzione del nucleo familiare, fino ai bambini di sei e otto anni costretti a lavorare in fabbrica e di ritorno a casa con volti mutati, sporchi e assolutamente simbolo di ciò che il film racconta e presenta: la privazione d’umanità.

L’Egitto del film è una terra di nessuno, quasi come fosse un western e non un dramma dell’oggi e sull’oggi, nel quale la polizia getta i corpi per strada e non accoglie vittime di violenza oppure persone comuni recatesi lì per sporgere una qualsiasi denuncia.

Quelle di Feathers sono terre crudele e spietate, così come sono crudeli e spietati gli individui che vi si muovono, a partire dal mago che prima trasforma un uomo in gallina e poi svanisce facendo perdere ogni sua traccia pur di non essere d’aiuto, nonostante una situazione realmente tragica e funerea.

Molto interessante inoltre il personaggio femminile che è poi protagonista dell’intero film, ossia la donna di famiglia che si ritrova ben presto a combattere e scontrarsi con le rigide regole del luogo e degli uomini muovendosi pericolosamente tra violenze psicologiche, drammi umani grotteschi e disperazione.

Un film memorabile che colpisce duro e non abbandona più.