Robert Eggers: Il lato oscuro dell’anima


Robert Eggers è sicuramente uno dei registi più importanti degli ultimi anni, forse il migliore della sua generazione, capace di affermarsi al grande pubblico già col suo primo lungometraggio, The Witch (2015), e continuando la sua carriera con altri due capolavori ovvero The Lighthouse (2019) e The Northman (2022).

Ma cos’è che rende questo cineasta così speciale e riconoscibile?

Partiamo da The Witch: Un uomo e la sua famiglia vengono allontanati dalla comunità puritana e si ritrovano costretti a dover vivere nei pressi di un bosco. Fin qui si direbbe che non c’è nulla di cui preoccuparsi, se non fosse che oscure presenze si nascondono tra gli alberi, mettendo la sopravvivenza della famiglia a duro rischio. A primo impatto sembrerebbe il solito film sulle streghe, un semplice ritorno al folk horror, ma The Witch è molto di più, non sono infatti oscuri incantesimi a mettere a repentaglio le vite dei protagonisti, sono loro stessi a farlo; la diffidenza, la gelosia e la rabbia dividono i familiari poco a poco lasciando che si distruggano fra di loro. Eggers analizza e manipola le tensioni dell’animo umano, ci mostra il lato più oscuro di noi stessi, ci fa capire quanto gli affetti e il legame di sangue possano venire a contar poco nel momento in cui l’essere umano è messo alle strette o nel momento in cui gli viene messo davanti ciò che più desidera e il tutto avviene tramite una fotografia che gioca con i toni del marrone e del verde, una fotografia che ci fa sentire il vento freddo che arriva dal bosco e le ombre che vi si annidano, tutto sotto l’occhio di una regia capace di trasmettere inquietudine e tensione, ma allo stesso tempo di farci vedere tramite gli occhi della protagonista, Anya Taylor-Joy, la cui evoluzione lascia lo spettatore spiazzato e con giudizio sospeso. E’ percepibile quanto quest’opera prenda da film come Shining. Riflettendoci i due film non sono così distanti come sembrano: due famiglie alle prese con loro stesse e con le oscure tentazioni che aleggiano fra di esse, famiglie che si dividono in una situazione che le mette a stretto contatto.

Nel 2019 esce The Lighthouse, a parer mio il miglior film di Eggers fino ad ora, che narra o, per meglio dire, mostra la parabola di due guardiani di un faro, anche loro alle prese con loro stessi e la loro inconscia follia. Il film è enigmatico, misterioso e, in senso positivo, disturbante; torna il concetto dell’essere umano recluso, costretto a scendere a patti col prossimo, ma qui si va ancora più a fondo nell’analisi della follia umana, di ciò che l’invidia e la rabbia possono creare nella mente di un uomo. Quest’opera ci trasporta in un fitta nebbia, dove tutto sembra irreale eppure tutto lo è, ma nulla è chiaro e la conoscenza della verità è come il fuoco di Prometeo, proibita, nascosta, irraggiungibile. Se per la sua opera prima il cineasta si rifaceva al folclore e a Kubrick, qui prende tra le mani una materia a lungo tempo perduta: l’espressionismo. Il film ne trasuda, l’influenza di registi come Murnau (Nosferatu il vampiro) è percettibile sin dalla prima inquadratura, dopotutto l’espressionimo si può definire come “la follia messa su schermo”, dunque la scelta di stile diviene più che coerente. Stile e storia, forma e contenuto divengono in The Lighthouse una cosa sola, bisogna capire e conoscere entrambe per poter capire il film e questo lo rende forse tutt’ora il più complesso del giovane regista, un film che resisterà alle pieghe del tempo e che difficilmente sarà dimenticato. Dalla cupa fotografia in bianco e nero, alla scenografia solitaria, alle interpretazioni di Robert Pattinson e Willem Dafoe, tutto ciò concorre a rendere il film unico nel suo genere, in cui la sottrazione di elementi accresce il valore di ciò che è presente in scena, perché spesso al cinema bisogna togliere piuttosto che aggiungere e questo Eggers l’ha capito.

Credit: Aidan Monaghan / © 2022 Focus Features, LLC

Conclude la triade The Northman (2022). Shakespeare torna al cinema in vesti completamente nuove e veste di nero, Eggers prende una storia vista e rivista e la fa sua, tanto che Shakespeare stesso ne risulta a volte divorato, fino a diventare qualcosa di nuovo. Si torna quindi ad una tragedia familiare, ad un figlio costretto ad affrontare da solo il sanguinoso lascito della sua famiglia, fatta a pezzi, ancora, dall’invidia e dalla sete di potere, che questa volta lasciano però il ruolo centrale alla vendetta, che come una malattia cresce nel protagonista che si troverà a dover viaggiare attraverso il suo stesso dolore, portando alla luce la verità che per tanto tempo gli è stata celata. Il vero centro di The Northman però è la forma, il film è un viaggio visivo, la complessità narrativa viene qui sacrificata in favore di inquadrature memorabili, dipinte con i colori più disparati e sono loro a trasmettere allo spettatore tutto ciò che Hamlet (Alexander Skarsgard) prova: vendetta, odio, amore, tristezza, rabbia, tutto ciò è dipinto nel quadro di The Northman, tutto ciò si mescola mettendo di fronte al protagonista una verità dolorosa e una scelta da fare, ancora una volta Robert Eggers ci mostra le contraddizioni dell’animo umano, ci costringe ad affrontare noi stessi, il vero nemico di Hamlet è se stesso, è la sua sete di vendetta, così come i nostri peggiori nemici non siamo altro che noi stessi.

Crediti immagine in evidenza: Dave J Hogan/Getty Images