La Bella e la Bestia (2017): Recensione
La Bella e la Bestia. La perfezione superficiale distrae dal vero fascino della fiaba. Il protagonista non è più la fiaba ma la computer grafica
VOTO MALATI DI CINEMA (6,5 / 10)
Come film assestante, preso singolarmente e decontestualizzato, non è costruito male. L’occhio vuole molto la sua parte (anche troppo) e l’orecchio rimane abbastanza soddisfatto. Ma il punto è che non è possibile valutare questo film senza tener conto della versione animata del 1991, per il semplice fatto che ne ricalca esattamente, precisamente, le orme in tutti gli elementi base della storia e in tutti gli snodi chiave della trama.
Nel confronto con l’animazione si può dire che il film ha dei personaggi più maturi, più adulti e per questo inseriti maggiormente in una realtà ben contestualizzata e che non è una semplice location atipica e stereotipata come nel cartone. Molto interessanti e utili per rinnovare la fiaba sono gli elementi di back ground sia della Bestia che della Bella, che sono inseriti in modo fluido nella narrazione e danno più spessore e umanità ai protagonisti.
Tuttavia escludendo questi elementi nuovi, il resto ricalca quasi alla perfezione, sia per inquadrature che per dialoghi che nelle canzoni, la fiaba animata. E tra queste sequenze quella migliore è senza dubbio l’assalto al castello seguita dalla scena di Gaston alla taverna. Tra quelle peggiori, in cima alla classifica, si trova la cena “Stia con noi” poichè risulta estremamente pacchiana. Al secondo posto, c’è la sequenza iniziale del paesino e infine, al terzo posto, la scena del ballo: abbastanza boriosa e paradossalmente poco magica.
In generale manca quella semplicità che con pochi elementi ben piazzati dava carattere alla storia e la rendeva più profonda. Nel cartone, l’umile (e forse volutamente povera?) semplicità di elementi riesce a raccontare una storia che non guarda alle apparenze, usando proprio un canale narrativo e visivo anch’esso semplice. Nel film invece tutto lo sfarzo barocco, le decorazioni iper-dettagliate e la perfezione superficiali distraggono dal vero fascino della fiaba. Una fiaba che con poco vuole dire tanto e che qui (poiché il messaggio è già noto al pubblico) se ne perde la magia, che invece si cerca di ricreare attraverso la grafica di un computer invece che con le situazioni.
Forse la chiave di lettura sta nella genuinità del mandare il messaggio a un bambino piuttosto che a un pubblico adulto, che pretende di più. Il modo in cui è rappresentata la storia rende il significato della stessa solo un evento collaterale: il protagonista non è più la fiaba ma la computer grafica. Tuttavia è una Tale as old as time che emoziona in ogni modo venga fatta.
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