Il Re Leone (2019): Recensione
Il Re Leone (titolo originale: The Lion King), recensione del film live action della Disney diretto da Jon Favreau. Uscita nelle sale italiane: 21 agosto 2019
VOTO MALATI DI CINEMA (8,5 / 10)
Dal punto di vista narrativo, il film ripercorre pedissequamente il Re Leone del 1994. L’aspetto che si differenzia totalmente è, chiaramente, quello degli effetti speciali, o meglio nella tecnologia usata. Il film è un remake, totalmente ricostruito al computer.
I personaggi sono gli stessi della versione del ‘94 (Simba, Mufasa, Scar, Nala, Timon, Rafichi, Azizi, Shenzi); i dialoghi per il 95% sono gli stessi, la durata di poco maggiore. Insomma, questa versione del Re Leone 2.0 è un’esperienza davvero riuscita dal punto di vista tecnico, pur conservando la quasi totalità della versione precedente. Dal punto di vista del genere non è soltanto un film di animazione, non è soltanto un musical, e non è soltanto la versione aggiornata della precedente, ma è come se avesse un quid in più.
Sicuramente il regista Jon Favreau ha dato una sua visione del film andando ben oltre la semplice opera di “restauro”: sembra che l’impiego delle nuove tecnologie abbia conferito ai personaggi una “maturità”, una “adultità” contenuta nella versione del 1994, ma non espressa visivamente come in questa. Le iene di questa versione, ad esempio, fanno davvero paura, rappresentano la feccia della “savana”, anche l’espressione dei leoni (soprattutto negli occhi) è più solenne.
I temi del film sono svariati. Alcuni rispetto a quelli del 1994 sono forse più attuali. Il tema psicologico e centrale del film è sicuramente il concetto di destino da compiere attraverso la metafora celeberrima di Freud del complesso di Edipo e del concetto di individuazione in Jung. Il protagonista, Simba, per diventare chi è dovrà superare sia delle difficoltà reali e concrete (il cattivo Zio che gli impedirà di essere il Re) che intrapsichiche, poiché dovrà fare i conti con il lutto e con la morte del padre per poter comprendere chi è. La sua perdita genera rabbia e chiusura: Simba si sente responsabile, sia realisticamente che simbolicamente, e manipolato dallo zio decide di scappare e di vivere senza pensieri e senza problemi (“Hakuna Matata”). Dal momento stesso in cui non esiste più una legge, una regola simbolicamente rappresentata dal padre, il protagonista vivrà in anarchia senza regole e senza una meta. Ripetendo più volte a se stesso di non sapere chi è. Insomma, dopo la morte il leone rifiuta di essere leone. Ma presto il passato tornerà a bussare alla sua porta, per voce di Nala, la quale trova Simba per caso, mentre cerca un aiuto per spodestare il malvagio Scar. Simba non trova il Leone padre dentro di sé. Attraverso l’incontro con Nala, Simba conosce l’amore, che gli permette di entrare in contatto con un Altro che gli avanza delle richieste (Torna e combatti, torna e prendi il tuo posto. Tu sei il Re).
La scena che dal punto di vista psicologico assume un valore nel processo di individuazione è quella in cui il giovane leone guarda il proprio volto riflesso nell’acqua e vede apparire quello del padre. In quel preciso momento il padre rinasce in Simba, e in quel momento il processo di adultità e di individuazione prende forma. Simba diventerà Re perché ha dentro di sé l’immagine precedente del padre. In termini psicologici quando si parla di destino ci si riferisce proprio a questo “trovare sé stessi”, che per Lacan consiste nel trovare l’altro dentro di te, il quale ti permetterà di essere il te stesso che avresti voluto che ci fosse dentro l’altro. Un ragionamento che potrebbe essere spiegato più semplicemente con questa frase “diventa ciò che sei”.
Affinché ciò sia possibile occorre fare i conti con la nostra eredità in termini psicologici, un po’ come ci insegna Simba. Insomma, un film davvero bello da vedere.