Il signor Diavolo (2019): Recensione
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Il signor Diavolo, recensione del film scritto e diretto da Pupi Avati. Uscito nelle sale cinematografiche il 22 agosto 2019
VOTO MALATI DI CINEMA (8 / 10)
una riflessione sul concetto di verità e di pulsione di morte in Psicoanalisi
“La verità è come un pozzo, di giorno vedi riflesso il sole, la notte la luna e le stelle. Ma la verità brigadiere è quando vi buttate nel pozzo”. Così Don Mariano interloquiva con il brigadiere nel Giorno della civetta di Sciascia. Questa frase è molto esplicativa del signor Diavolo di Pupi Avati.
Il film è ambientato nel 1952, anno in cui l’Italia era uscita dalla guerra già da un po’ di tempo. La scena iniziale simbolicamente rivela già cosa il regista vuole dirci (no spoiler) che dovrà essere collegata a quella finale. La trama è la seguente:
A Roma, il giovane funzionario ministeriale Furio Momenté viene convocato da un suo superiore per occuparsi di una questione delicatissima che sconfina dalla politica alla cronaca nera, dal satanismo al cattolicesimo. In Veneto un minore ha ucciso un suo coetaneo convinto di aver ucciso il diavolo (anzi il Signor Diavolo, perché come ci ricorda il cappellano che alle persone cattive, ed al diavolo bisogna portare il dovuto rispetto). La questione però per motivi elettorali merita la massima attenzione e segretezza. La madre della vittima, (donna dalle calze bucate, ma molto potente e influente nell’ambito politico) ha cambiato idea politica e sulla chiesa. Interessante che viene esplicitato il nome DC (democrazia Cristiana) per parlare sia di un partito politico che della chiesa. Insomma la donna non darà più il suo appoggio elettorale alla Democrazia Cristiana.
Pertanto lo scopo del protagonista sarà quello di evitare di coinvolgere nel procedimento penale esponenti del clero. Durante il viaggio in treno da Roma al veneto, Momenté legge i verbali del processo e non appena si troverà in loco si renderà conto che la situazione era peggio, o al contrario, proprio come era stata ipotizzata.
Il ritorno al cinema horror (o forse meglio gotico) di Pupi Avati trova un’evoluzione concettuale rispetto ai film precedenti come L’Arcano Incantatore e La casa dalle finestre che ridono. Il film si trova idealmente e geograficamente nel mezzo rispetto ai due suoi film precedenti. Duranti il film il regista fa riferimenti e citazioni più o meno esplicite ai precedenti. Possiamo dire che il Signor diavolo esprime più a fondo la sua concezione della natura umana.
Il signor Diavolo è ambientato in quella campagna veneta, in cui il conflitto simbolico e politico che sembra emergere è proprio quella lotta tra bene e male trasposta su più piani. È come se il clero e la Democrazia Cristiana combattessero il Diavolo. La politica si confonde all’etica (un po’ alla Todo Modo di Elio Petri, in cui i deputati della DC dovevano affrontare la peste nascondendosi). In questo film il nemico della Chiesa è il Diavolo che è un ragazzo storpio dalla dentatura animalesca. I temi del film sono svariati: la politica, la religione, l’ignoranza e la superstizione.
L’ambientazione rurale ci regala delle immagini di rara bellezza. Avati non si è per nulla servito di effetti speciali per farci spaventare, ma ha messo in scena la paura più atavica che l’uomo possa vivere: l’eterna lotta tra il bene ed il male. La genialità del regista sta nel descrivere tale lotta e metterla in scena non tanto nello sviluppo della storia e della narrazione ma nel protagonista. Tale conflitto è insito nella natura umana e l’uomo non può che esserne spaventato.
Già dalla prima scena Momenté è un morto che cammina, compie un viaggio che forse già dall’inizio si comprende dove lo porterà. Interessante è notare come nella narrazione del film non aggiunge nulla in termini di conoscenza dell’accaduto. Il film inizia simbolicamente dove finisce dal punto di vista dello sviluppo tematico.
In termini più simbolici e psicologi il protagonista si trova a dover “risolvere” un eterno conflitto dentro di sé. Come direbbe un noto psicoanalista Lacan. Momenté dovrà fare i conti con la sua pulsione di morte che dovrà tenere a bada dalla sua pulsione più vitale. Come in tutti i film di Avati, vi è sempre un pessimismo esistenziale in cui le donne non ci stanno e pertanto il protagonista non potrà vivere la sua pulsione più vitale. Dovrà affrontare al contrario la pulsione di morte. Tale pulsione di morte dialogherà con la parte più infantile di se (rappresentata nel film dal bambino che ha ucciso il Diavolo), con il cappellano (che lo condurrà negli inferi), con l’esorcista (che proverà senza riuscirci a proteggerlo).
Insomma, il protagonista scontrandosi con la sua pulsione di morte non potrà che scendere agli inferi, e paradossalmente i suoi carnefici saranno proprio coloro i quali avrebbero dovuto aiutarlo.
Avati ci regala una fiaba horror, Gotica, priva di effetti speciali, in cui tutto sembra già scritto. Il finale rappresenta la profonda comprensione della pulsione di morte che conduce all’oscurità, all’inferno. Il regista, comprendendo a fondo la natura umana, afferma che non servono grandi effetti speciali per spaventare l’uomo. La paura è dentro di esso e si manifesta attraverso la pulsione di morte che nel film è il signor diavolo ed il finale è proprio il risultato di tale comprensione.
Per concludere Il signor Diavolo è un signor Film, a tratti lento e macchinoso, un po’ come il Diavolo che fa la pentole e pure i coperchi.