Perez. (2014): Recensione
Perez., recensione del film scritto e diretto da Edoardo De Angelis con protagonisti Luca Zingaretti e Marco D’Amore. Uscito nelle sale il 2 ottobre 2014
VOTO MALATI DI CINEMA (7 / 10)
Napoli. Centro Direzionale.
Perez (Luca Zingaretti) è un avvocato penalista, un azzeccagarbugli arreso a ruolo di passacarte.
Ha una figlia, Tea (Simona Tabasco), frutto di un matrimonio disastroso e unica donna della sua vita.
La relazione di Tea con il figlio di un camorrista (Marco D’Amore) scatenerà una serie di eventi, che metteranno alla prova il coraggio del protagonista.
Dopo soli tre anni da Mozzarella Stories (2011), Edoardo De Angelis si cimenta nuovamente in una storia di camorra, ma questa volta da un altro punto di vista, quello di un avvocato frustrato e deluso da un sistema giudiziario ormai marcio, in cui prevale la strategia più efficace, messa a difesa di delinquenti, miserabili e sciagurati, per una giustizia in cui non c’è equità. Eppure, la tattica che Perez predilige non è quella perseguita da molti, non prevede perorazioni appassionate né sostenute attraverso una dialettica pungente: Perez adotta il silenzio, nell’attesa che la causa faccia il suo corso, non prende posizioni, nemmeno per difendere il suo assistito, “sta zitto e passa le carte”.
Il suo ruolo di padre non sembra riscattarlo dall’inettitudine professionale: il rapporto con la figlia nasconde diverse ferite, tra continue umiliazioni e provocazioni, come quella della relazione con il figlio di un boss della camorra, che testimoniano il rancore, il disprezzo, l’odio di Tea per un uomo senza qualità.
La vicenda si svolge quasi interamente nel microcosmo del Centro Direzionale, una cittadella di uffici nel cuore di Napoli, sotto lo sguardo distaccato e imperturbabile dei grattacieli, su cui si erge il Palazzo di Giustizia. De Angelis riesce così a creare un’atmosfera claustrofobica e delirante con l’intento di rappresentare una Napoli che perde i suoi connotati tradizionali per diventare teatro di ingiustizie, di miserie umane e di una lotta alla sopravvivenza, i cui carnefici sono innanzitutto i disonesti e gli avidi.
“Sono un pazzo fottuto
che con una guerra in corso
vado ancora in giro disarmato”
Dunque, Perez decide di assecondare la logica dell’homo homini lupus, abbandonando la sua veste di sciagurato pazzo disarmato contro i colpi feroci dell’ingiustizia.
L’evoluzione da vittima di un’etica hobbesiana a quella di riscatto da tale condizione è assistita e incoraggiata da personaggi secondari, che risultano rilevanti ai fini dello scioglimento dell’intreccio e della piena realizzazione del personaggio di Perez: il suo assistito, Buglione (Massimiliano Gallo), un pentito della camorra con il quale stringerà un patto perverso pur di sottrarre la figlia ad un destino infelice e l’amico Merolla (Gianpaolo Fabrizio), che assume spesso nel corso della pellicola la funzione di testimone critico dei fatti.
Il cast si avvale dell’interpretazione brillante di attori cari al regista, con il quale molti di loro hanno già collaborato in precedenza e che ancora una volta confermano il loro talento in ruoli non troppo distanti da quelli già rivestiti in passato. Anche la scelta delle musiche, alcune tratte dal repertorio del rap napoletano, risulta ben riuscita e contribuisce a comunicare i sentimenti di rabbia repressa nei confronti di un disegno criminale, che non è solo proprio di una mentalità camorristica, ma presente in tutte le forme di sopraffazione e di arroganza verso il più debole. Dunque, il messaggio di denuncia del regista è chiaro ed evidente nelle considerazioni finali di Perez sugli individui: “Solo una cosa ancora mi commuove: l’onestà”.