Hammamet (2020): Recensione
Hammamet, recensione del film diretto da Gianni Amelio con Pierfrancesco Favino nel ruolo di Bettino Craxi. Nelle sale dal 9 gennaio 2020
VOTO MALATI DI CINEMA (6,5 / 10)
Il Presidente è stato un importante leader di partito che, dopo diversi scandali e processi, decise di ritirarsi ad Hammamet, nella sua residenza fra gli ulivi. Gianni Amelio ci narra la parte finale della vita di questo uomo, di cui non ci dice mai il nome, perché subito riconoscibile dalla camaleontica e formidabile interpretazione di Favino, come se fossa nota a ognuno di noi. Ci immergiamo, così, nel mondo personale (reale, immaginario?), con tanto di ricordi dell’infanzia e sogni catartici e grottesche derive oniriche da varietà televisivo, di chi ha conosciuto il potere e lo ha perso e continua ad atteggiarsi, nella sua remota e protetta villa delle vanità, come se fosse ancora nel pieno delle sue forze. E invece le sta perdendo giorno dopo giorno, segnato da una malattia e dal suo lento degenerarsi e in questa deriva umana arrivano gli echi del passato, le telefonate, il corpo ancora caldo di una vecchia amante, il figlio di un compagno di partito morto suicida, la visita di un dirigente democristiano, anche lui invecchiato e al tramonto.
Nell’affrontare i propri fantasmi e demoni, nell’inattesa ironia, nella quasi totale assenza di modestia del protagonista c’è un ritratto sincero e toccante di qualcuno che si ritrova ad andare incontro alla morte da solo, in un paese straniero, anche se circondato dai membri della propria famiglia e dalle loro costanti attenzioni.
Gianni Amelio dirige in un modo molto attento, curato e diligente, quasi empatico, costruendo notevoli sequenze (come quella iniziale del congresso) e il suo film funziona egregiamente quando Favino è in azione ma poi sono gli altri personaggi (ed attori) a non reggere il confronto e a trasformarsi in figure didascaliche e solamente funzionali allo sviluppo della storia: il figlio del Presidente con la sua ridicola interpretazione di Piazza Grande, Fausto che dovrebbe essere una sorta di fragile specchio della coscienza, munito di videocamera, che riprende le ultime confessioni del Presidente, sua moglie, appassionata dei western di Anthony Mann e Claudia Gerini, provocante e seminuda in una stanza di un albergo tunisino. Rimane in piedi solo il rapporto con Anita (nome che proviene da un impeto di reminiscenze garibaldine), aperto e conflittuale, un rapporto che è anche all’origine della nascita del soggetto e per il quale il regista ha avuto tre riferimenti principali nelle relazioni letterarie padre-figlia di Elettra e Agamennone, Cassandra e Priamo e Cordelia e Re Lear.
Il privato e il pubblico, in Hammamet, vengono scissi in maniera drastica nella ricerca di un racconto che ci avvicini all’uomo senza dirci nulla del politico che è stato, che ci faccia provare delle emozioni che riguardino la persona ma non quello che essa ha rappresentato per il Paese. In Italia il passato viene dimenticato presto. E con esso gli artefici della trasformazione e del declino della nostra democrazia: da governo del popolo a palcoscenico in cui esibire il proprio sfrenato esibizionismo.
(foto immagine in evidenza di Claudio Iannone)