L’uomo del labirinto (2019): Recensione
L’uomo del labirinto, recensione del film scritto e diretto da Donato Carrisi. Uscito nelle sale il 30 ottobre 2019
VOTO MALATI DI CINEMA (7,5 / 10)
Samantha Andretti è una normale ragazza di 13 anni, fino a quando, una mattina, viene rapita mentre si stava dirigendo a scuola. Di lei si perdono completamente le tracce.
Quindici anni dopo viene ritrovata vicino ad una palude, è in stato di shock e non ricorda niente di quello che le è accaduto.
Sarà compito del dottor Green, profiler di fama, cercare di capire cosa è successo alla ragazza in questi anni, tramite i suoi interrogatori.
Nel frattempo Bruno Genko, investigatore privato il quale era stato contattato dalla famiglia di Samantha ai tempi della scomparsa, decide di indagare per conto proprio sulla faccenda, determinato a scoprire chi sia il rapitore.
Secondo film diretto da Donato Carrisi, dopo l’esordio con La ragazza della Nebbia. Anche in questo caso lo scrittore si cimenta nella trasposizione cinematografica di uno dei suoi romanzi. A differenza del precedente però, che aveva una narrazione più lineare, L’uomo del Labirinto è un intricato rompicapo che mette insieme molti elementi in una storia in bilico tra thriller, pulp e qualche venatura horror.
La storia viaggia su due linee parallele per gran parte della sua durata, una parte più introspettiva e riflessiva affidata al professor Green (un ottimo Dustin Hoffman) e una parte più movimentata e di azione assegnata a Genko (il bravissimo Toni Servillo).
La lettura della vicenda non è semplice e non permette neanche un attimo di distrazione allo spettatore. Proprio come nel libro Carrisi mischia più volte le carte in gioco, arrivando a scardinare molte delle certezze che riguardano l’intera storia.
I personaggi sono caratterizzati molto bene, oltre ai già citati Genko, Green e Samantha si mette in risalto un numeroso parterre di soggetti secondari ma che comunque rimangono impressi per le loro peculiarità.
L’atmosfera è confezionata bene, claustrofobica e minacciosa in ogni momento, dando l’impressione di avere a che fare con un vero e proprio labirinto anche allo spettatore, come avviene per Samantha.
Nota di merito per il finale, che è un vero e proprio intreccio di colpi di scena, una matrioska di elementi che si susseguono e ribaltano completamente il punto di vista del pubblico. Va dato atto al regista di essere riuscito a trasmettere visivamente su pellicola un epilogo così articolato, identico a quello del libro.
In conclusione L’uomo del Labirinto è un’ottima opera che merita la visione e che consacra Carrisi come regista, al quale va riconosciuto il pregio di mettere in risalto un genere cinematografico che in Italia passa spesso in secondo piano. Da vedere.