La forma dell’acqua (2017): Recensione

La forma dell’acqua, recensione del film diretto da Guillermo del Toro, vincitore di 4 Premi Oscar. Uscito nelle sale italiane il 14 febbraio 2018

VOTO MALATI DI CINEMA 8 out of 10 stars (8 / 10)

La forma dell’acqua (titolo originale: The Shape of Water), vincitore di quattro premi oscar (miglior film, miglior regia, miglior scenografia e miglior colonna sonora) è una fiaba atipica ambientata negli anni della guerra fredda in un’America che vuole primeggiare contro la Russia nella corsa allo spazio e aiutata grazie a una scoperta insolita.

Un essere marino con fattezze umane compare in un fiume e viene portato in una base segreta affinché possa essere studiato e poi vivisezionato, ma non tutto procede secondo i piani perché lì vi lavora una donna, Elisa (Sally Hawkins), inserviente affetta da mutismo che sarà l’unica in grado di comunicare con il “mostro”, l’unica che avrà la sensibilità per creare con lui un legame profondo da spingerla a fare di tutto per salvarlo da una morte certa.
Già dall’inizio il film si presenta come se fosse una fiaba raccontata da un narratore, elemento che ricomparirà poi nel finale per concludere la storia e dare un senso di completezza a un’opera che è in grado di farti per un po’ sognare se la si guarda con gli occhi dell’immaginazione.

Tutto il film è in linea con lo stile del regista la caratterizzazione dei personaggi, che sono spesso emarginati e soli, ma nella loro semplicità trovano il modo di agire, mostrano di essere di più di quello che appaiono perché hanno il coraggio di farsi strada in un mondo che appare freddo, privo di bontà. Un’attenzione particolare va alla fotografia di Dan Laustsen dai toni freddi, tendenti all’azzurro, ma con tante ombre e chiaroscuri che modellano una scenografia ricca di dettagli negli interni degli appartamenti dove abita Elisa e il vicino Giles (Richard Jenkins), con cui ha un rapporto quasi paterno, e gli esterni che risultano spesso bui, nella notte, e con una pioggia battente, elemento che ricompare più volte.

Altro aspetto importante nel cinema di Guillermo del Toro sono i costumi, soprattutto il trucco che con un’attenzione minuziosa al dettaglio viene realizzato a mano con ore di lavoro ogni giorno.
Lo vediamo nel personaggio interpretato dall’attore Doug Jones che ha collaborato con il regista per molti altri film come Il labirinto del fauno, Hellboy, Crimson Peak, recitando in tutte queste volte sotto un trucco prostetico che lo rende irriconoscibile.
Altro merito vanno agli attori, dall’amica particolarmente loquace interpretata da Octavia Spencer, dal crudele colonnello (Michael Shannon) e la protagonista ovviamente, in cui le spetta un ruolo non semplice dal momento che non può comunicare tramite la parola, ma solo con i gesti e con espressioni facciali.
Durante il film, che risulta scorrevole, troviamo una buona alternanza tra momenti comici e non, si viene portati un po’ alla volta a empatizzare con la creatura anfibia che viene trattata barbaramente, torturata, ma che può sopravvivere grazie all’amore che nasce tra i due e che è accompagnato da una leggera colonna sonora.
Ci si affeziona ai personaggi che emergono come eroi improbabili, emarginati, ma dimostrano cos’è l’amicizia vera che non vede il colore della pelle o l’amore che va al di là dell’apparenza in un’America dove il vero “cattivo” risulta essere in superficie chi appare come il classico padre di famiglia mentre nel profondo è un uomo sessista, razzista e violento.
Questo è un film per chi ama il cinema, per chi riesce a guardare le cose con occhi diversi, per chi riesce ad ascoltare con il cuore e far parlare le emozioni.