Metropolis (1927): Recensione
Metropolis, recensione del film diretto da Fritz Lang. Il film è stato proiettato per la prima volta a Berlino il 10 gennaio 1927
VOTO MALATI DI CINEMA (9 / 10)
il primo moderno film di fantascienza della storia del cinema
Metropolis, diretto da Fritz Lang e sceneggiato insieme a sua moglie Thea von Harbou, è un film muto del 1927, considerato il capolavoro del regista. È un film cult, immortale, che vanta la potenza cinematografica di un’opera che non si accascia nel tempo, ma al tempo si rimodella e si riadatta, arrivando a trascendere dalla dimensione temporale. La sua potenza è fonte di ispirazione per tutta la cinematografia e la serialità fantascientifica a venire; titoli blasonati come Blade Runner, Guerre Stellari e Matrix, devono senz’altro riconoscere a Metropolis la loro genesi.
Metropolis racconta la storia di una rivolta, contro un magnate-dittatore e costruttore della città di Metropolis: Freder Fredersen (Gustav Fröhlich), padre, per nulla amorevole,di Jhohann Fredersen (Alfred Peter Abel). Jhohann è il classico biondino cinematografico un po’ assente, lascivo, irresponsabile e inconsapevole, che vede in Maria (Brigitte Helm) la donna della sua vita; ma il loro amore non nasce per essere un amore solamente personale, ma si allarga al sociale e si allaccia al nucleo centrale del film: la scena in cui Jhohann incontra Maria nel giardino del grattacielo più grande della città, dove egli vive. In questa sequenza riconosce e consapevolizza lo stato in cui vivono gli operai e i loro figli grazie alle parole di Maria, che portando con sé i figli della classe operaia, pronuncia celebri parole nei confronti di Jhohann «Guarda questi sono i tuoi fratelli». Tanto forte sarà la presa di coscienza del giovane da indurlo a parlare col padre, per cercare una risoluzione. Inoltre, inoltrandosi nei meandri del sottosuolo della città, dove la classe operai lavora senza tregua, deciderà di scambiare la sua vita con quella di un operaio, al fine di provare la dura vita dei poveri proletari.
Altra figura centrale del film, è lo scienziato Rotwang, creatore di tutte le macchine della città e rivale in amore del dittatore. Infatti, prima della nascita di Jhohann, Rotwang fu perdutamente innamorato della moglie di Freder, Hel, morta dando alla luce Jhohann. Ma Freder ignaro di tutto, si fida di Rotwang e dà a lui il compito di creare un robot con le sembianze di Maria al fine di screditare la sua figura. In realtà Rotwang sta tramando la sua vendetta, rapisce Maria, la collega ad un macchinario che replicherà quasi esattamente le sue fattezze e crea un robot programmato per essere un incitatore alla rivolta, con lo scopo di porre così fine al potere capitalistico di Freder.
Il robot di Maria istigherà alla sommossa, alla violenza, manipolando gli uomini attraverso una sensualità ammaliatrice nella meravigliosa danza di Salomè, sequenza che entrerà nella storia come una delle danze più sensuali della storia del cinema, dalla quale saranno riprese la maggior parte delle scene di seduzione future. L’unico ad accorgersi della falsa Maria, sarà Jhohann, il quale dopo essersi quasi ammalato per il comportamento guerrafondaio della sua amata, si renderà conto dell’inganno, esclamando a piena voce «Tu non sei Maria!». La rivolta però sarà già iniziata, distruggendo la città e quasi uccidendo i bambini di Metropolis, che saranno salvati in extremis dalla vera Maria fuggita da Rotwang.
Una curiosità sul finale, che ci catapulta anche nella vita privata di Thea e Lang (in quanto i due divorziarono nel 1933, a causa di idea ideologiche diverse. Infatti, Thea, entrò a far parte del partito nazional socialista e Lang non condivise affatto la sua idea), riguarda la scelta di due finali opposti, scelta sintomo di tensioni interne tra i due. La von Harbou infatti volle il finale che è presente nella versione che vediamo: il mediatore (Jhohann), media tra il padrone (Freder) e l’operaio, portando finalmente pace, armonia e condivisione tra la gente di Metropolis. Emblema del film è l’aforisma «Il mediatore fra il cervello e le mani dev’essere il cuore!». Diversamente Lang, ripudiando il finale della moglie, voleva far concludere la storia con la fuga dalla città dei due innamorati su un razzo, mentre la città sarebbe stata distrutta e sotterrata dalle conseguenze della sommossa.
Girato tra il 1925 e il 1926, Metropolis andò in contro a quella che fu la propaganda nazista e successivamente la seconda guerra mondiale. Il film venne amato da Goebbels e Hitler, i quali vedevano le loro idee nella organizzazione organica e totalitaristica della città, dove ognuno fa il proprio mestiere, dove la fatica e il dolore dei proletari è ricompensato da un vago romanticismo che nasce dall’assunzione della superiorità dei potenti.
Oltre al compiacimento dei due gerarchi, il destino di Metropolis è ulteriormente legato alla seconda guerra mondiale. La prima versione, nonché quella originale, andò infatti perduta durante la guerra. La Ufa, la casa di produzione tedesca che produsse il film, avendo speso 2 milioni e mezzo di franchi per la produzione, e dopo aver ricevuto forti critiche all’uscita (fu infatti considerato dalla critica noioso, sconclusionato, eccessivamente lungo e anche razzista), fu costretta a rivolgersi alle majors americane Paramount e Metro Goldwyn, che decisero di applicare tagli di montaggio per un quarto del film. Successivamente produttori tedeschi applicarono ulteriori tagli, riducendo la pellicola almeno di 35 minuti. Un vero e proprio stupro alla totale opera di Lang, che senza alcun dubbio ci fanno asserire che per 80 anni, nessuno vide mai il vero Metropolis così come fu concepito da Lang e la von Harbou. Fino a quando, nel 2008, fu ritrovato un controtipo negativo in 16 mm di proprietà di un collezionista privato, il quale conteneva il 95% delle parti mancanti. Il materiale era però rovinatissimo, un abilissimo lavoro di restauro fu infatti fatto dalla Fondazione Friedrich Wilhelm Murnau in Germania, che lavorando non solo sulle immagini, ma anche sul suono, presentò il ”director’s cut” di Metropolis al 60° Festival internazionale del cinema di Berlino nel 2010.
L’opera subì così una vera e propria metamorfosi ontologica. I tagli infatti, non pregiudicavano solo la narrazione, (vennero meno scene umoristiche, che fecero diventare Metropolis un film solo apocalittico; dialoghi tra i personaggi, i quali mettevano alla luce i loro rapporti, facendo una vera e propria introspezione individuale), ma il senso ultimo ed essenziale del film. Il film nella versione che ci è stata somministrata fino al 2010, finisce per essere il racconto di un futuro lontano, una previsione lontana, una profezia. In realtà Lang desiderava aprirci gli occhi sul presente, su quello che era già successo e non su quello che sarebbe potuto succedere. Purtroppo, il 2026 distopico di Lang, era quasi il suo 1927, ma senza alcun dubbio è già sicuramente il nostro 2020.
Dopo aver riassunto in breve la travagliata storia della sua resurrezione, credo sia necessario parlare di Metropolis, partendo dal gigantesco titolo che mi sono permessa di dare a questo articolo. È davvero Metropolis, il primo film fantascientifico moderno della storia del cinema? Venticinque anni prima, nel 1902, Mèlies ci dona il primo film fantascientifico della storia, “Viaggio sulla luna”, immagini fantasmagoriche, ci mostrano l’intrusione dell’uomo sulla luna e la reazione abbastanza infastidita dell’astro; Lang, come Mèlies, ci descrive l’uomo come un intruso spietato, l’uomo intruso nel mondo puro della natura che non rispetta più. Tutto ciò che era naturale è ora innaturale, tutto è contro natura: gigantesche metropoli di ferro e acciaio sovrastano la gracilità umana, le macchine controllano e condizionano l’uomo, ma soprattutto l’uomo viene assimilato ad una macchina. Celebre è infatti la scena del cambio turno: operai, ridotti ormai a miseri ingranaggi viventi, escono ed entrano dalla fabbrica a ritmo di gabbie-cancello che si aprono e si serrano. Testa bassa, un flusso di uomini alienati in camminata unificante, tute da lavoro che li omologano, riducendoli a bestie decerebrate ancora per poco utili al grande sistema.
Inoltre l’uomo ha la capacità di costruire androidi con sembianze umane, un nuovo uomo non più di carne ed ossa, ma di acciaio: meccanizzato, sterile, freddo, una via che ci lascia presagire il transumanesimo, il postumano. Lang, nel 1927, teorizza e inscena situazioni impensabili nello scorso secolo e forse anche nel nostro; situazioni inconcepibili ma vicinissime a noi e ai nostri giorni. Lang ci avverte, senza mezzi termini, sta a noi ora cogliere l’avvertimento, sempre se siamo ancora in tempo.