Profondo rosso (1975): Recensione

Profondo rosso, recensione del film diretto da Dario Argento con protagonista David Hemmings. Uscito nelle sale italiane il 7 marzo 1975

VOTO MALATI DI CINEMA 8.5 out of 10 stars (8,5 / 10)

Profondo rosso non è un film giallo, nonostante, a primo acchitto, la sua struttura interna sembrerebbe esser costruita su una detection. Marcus Daly, (interpretato da David Hemmings, protagonista di “Blow Up” di Michelangelo Antonioni), insieme al suo amico Carlo (Gabriele Lavia), si ritrova ad essere testimone di un omicidio, quello della medium Helga Ullman (Macha Méril). Tutto apparentemente sembra rientrare all’interno dei moduli espressivi del giallo: Marcus, interrogato dal commissario, è un testimone dell’accaduto, ma è testimone anche, di un momento di visione che insieme a lui condividiamo fin dal primo momento. Il parallelismo tra noi spettatori e Marcus, testimone e protagonista del film, è chiaro: Marcus, precipitandosi nell’appartamento di Helga, subito dopo l’omicidio, vede qualcosa, qualcosa che non gli è chiara, qualcosa che non delinea, ma che comprende. Questa impossibilità di visione, una forte insufficienza retinica, è anche la nostra; anche noi, abbiamo visto qualcosa di sfuggente, percepiamo una presenza, proprio come fa la medium all’inizio del film. Ci troviamo nel Teatro Carignano (set anche di Quattro mosche di velluto grigio del 1971), Helga, durante una conferenza, avverte una presenza, che la impaurisce, così tanto da interrompere l’evento. Abilissima fin dal primo momento la regia di Argento: la macchina da presa saltella da un punto all’altro del teatro, cambiando continuamente punto di vista, disorientandoci; a volte la soggettiva di Helga o quella della presenza da lei avvertita, altre volte la nuca degli spettatori o quella della medium.

Quest’ultima, è una inquadratura che ancora più ci estrania dalla vicenda, ci sradica dal luogo, fluttuiamo, infatti, cercando di ricostruire la vicenda, che in realtà, non è proprio da ricostruire. Torniamo al punto di partenza, che cosa vede Marcus? Al principio, pensa di aver visto un quadro, ora mancante: “Forse è talmente importante che non te ne rendi conto”, ecco come risponde Carlo quando Marcus gli racconta il suo disagio, la presenza di questa visione sfumata, che non si concretizza; solo alla fine si accorgerà di aver visto un volto, il volto dell’assassino. Proprio insieme a Marcus, assumiamo la consapevolezza di esser stati i primi a vedere l’assassino, e anche i primi ad essere cascati nella trappola di Dario Argento, del Regista. Profondo Rosso, dunque, non è un giallo, ma uno studio approfondito sulle sue dinamiche interne. Confrontiamolo con il padre della suspense, colui il quale meglio di tutti ha indagato le sue regole e i suoi meccanismi: Alfred Hitchcock. La suspense è per lui, la metodica della narrazione filmica, “la minaccia del senso sospeso, un’attesa narrativa che ad Hitchcock piace disattendere”, così la descrive Jean-Luc Godard.

Prediamo per esempio, uno dei suoi film più celebri, “Rear Window” (1954): Jefferies è convinto che l’assassino della signora Thorwald, sia il suo stesso marito, il signor Thorwald, ma nel corso del film, la scacchiera filmica viene di continuo riassestata e stravolta da personaggi che sembrano smentire o screditare la tesi di Jeff; per 112 minuti, non si ha nessuna certezza, fino alla sequenza finale dove il confronto tra Jefferies e Thorwald è ormai inevitabile. Ma Hitchcock, vuole non farci sapere, vuole farci interrogare, in un film grandioso, che spicca per un sadismo svelato da parte del regista, come afferma Truffaut nei Cahiers, ma questa è un’altra storia. Quello che ci interessa, è l’intento di Argento, il Regista manipolatore che ci fa interrogare su un assassino che in realtà abbiamo visto già dalle prime sequenze. L’assassino è Dario Argento, non solo metaforicamente, assolutamente no, lo è fisicamente. Le mani fasciate da guanti neri, che uccidono nei modi più atroci le vittime, sono proprio del Regista. Il ritmo del film, è sempre lo stesso: nenia per bambini – mani guantate – smembramenti, spigoli e ustioni. Mutilazioni perpetrate, dalla mano sapiente del Regista che masochisticamente gode di uno spirito tattile, chirurgico, endoscopico che si soddisfa nella penetrazione incessante nei corpi: dal primo omicidio, Helga decapitata dalle schegge della finestra, all’ultimo, l’assassina, mamma di Carlo, ex-attrice teatrale dal viso pitturato di bianco, che cercando di affettare Marcus a colpi di machete, viene da lui decapitata, con una collana che resta impigliata ascensore che da lui viene azionato, recidendole il collo.

Il ritmo del film è profondamente jazz, fin dalla sua sinossi. Marcus è infatti un pianista jazz, ed oltre alla formidabile colonna sonora dei Goblin, le composizioni sono firmate dal pianista jazz Giorgio Gaslini che suggella perfettamente il libero intento compositivo di Dario Argento. Profondo Rosso è un film libero, elastico, metacinematografico, uno studio sul lavoro del regista, sul suo potere, sul suo tenere le redini, un film girato nel suo terreno, sotto la sua giurisdizione. Noi, possiamo solo ammirarlo e goderne, forse, anche un po’ da lui sottomessi, ma diciamo la verità, un po’ ci piace.