L’infernale Quinlan (1958): Recensione

L’infernale Quinlan (Touch of Evil), recensione del film diretto e interpretato da Orson Welles con Charlton Heston. Uscito nelle sale statunitensi il 23 aprile 1958

VOTO MALATI DI CINEMA 10 out of 10 stars (10 / 10)

Quando un’autobomba esplode sul lato americano del confine tra Stati Uniti e Messico, l’agente di polizia messicana Miguel Vargas (Charlton Heston) inizia le sue indagini insieme al capitano della polizia americana Hank Quinlan (Orson Welles). Quando Vargas inizia a sospettare che Quinlan e il suo losco partner, Menzies (Joseph Calleia), stiano fabbricando le prove per incastrare un uomo innocente, le sue indagini sulla loro possibile corruzione mettono rapidamente se stesso e la sua nuova sposa, Susie (Janet Leigh), a rischio.

Nel 1958 viene pubblicato “Touch of Evil” (“L’infernale Quinlan” in una vacua e goffa formula italiana), ultimo lungometraggio hollywoodiano del più influente cineasta del XX secolo che nel 1941 mutò profondamente il modo di fare cinema, ideando a soli 25 anni d’età l’opera che l’American Film Institute, ad oggi, considera il miglior film americano di tutti i tempi: “Citizen Kane”. Come quest’ultimo, così Touch of Evil non fu un successo al botteghino e la critica non lo adornò della magnificenza che in realtà meritava e che ricevette solo negli anni successivi. Del resto, la storia insegna come i geni vengono apprezzati con notevole ritardo.

Mentre gli americani in genere la consideravano una squallida rappresentazione del crimine, solo Godard e Truffaut riempirono di elogi l’opera appena pubblicata. C’è da dire che in parte la ragione del flop fu dovuta al fatto che la versione del 1958 venne “manomessa” dalla Universal: non solo vennero aggiunte scene non girate da Welles, ma ben 15 minuti del suo lavoro vennero eliminati, nonostante il forte rammarico che il regista manifestò con alcune considerazioni scritte inviate alla Universal prima della pubblicazione della pellicola. Bisogna aspettare il 1998 perché si concluda il processo di ristrutturazione e rivalorizzazione del film, ad oggi a tutti gli effetti un’opera “postuma” restaurata.

Welles crea un film labirintico che ruota tutto intorno a Quinlan, emotivamente e strutturalmente; ogni altro personaggio è presentato in relazione a lui.
La macchina da presa virtuosa di Welles si muove di lato, si alza, si abbassa, si muove dentro e fuori e cambia direzione, creando un labirinto di movimenti e interconnessioni. Il sound design – la musica che emerge da molteplici impianti, sempre più forte e silenziosa – rivela l’importanza del precedente lavoro di Welles in radio: è particolarmente sensibile al modo in cui il suono può evocare lo spazio. Qui le mutevoli prospettive uditive si combinano con i mutevoli movimenti della telecamera per immergerci in un mondo instabile, quasi caotico, pieno di convergenze momentanee.

Ma per quanto magistrali siano le riprese di Welles, ciò che rende Touch of Evil un capolavoro sbalorditivo è la qualità complessiva del suo stile, che fa sì che ogni immagine riecheggi quasi tutte le altre nel film. L’uso di un obiettivo grandangolare, da un lato, consente una messa a fuoco profonda – sia il primo piano che lo sfondo sono nitidi – e, dall’altro, sembra allungare o curvare lo spazio. L’approccio intensamente fisico di Welles rende percepibili le immagini come una mescolanza di superfici sensuali. Insieme, la sua macchina fotografica itinerante, l’illuminazione complessa e le prospettive mutevoli sembrano parti della ricerca del regista di creare un contatto intimo con ogni oggetto nel mondo. Ogni strada debolmente illuminata, ogni angolo di ogni stanza sembra scandito da una telecamera che vuole non solo vedere ma anche toccare tutto ciò che è in vista.

Touch of Evil è anche frutto della grande devozione di Orson Welles a William Shakespeare, notoriamente la sua maggiore fonte di ispirazione e delle cui opere il cineasta vantava, già nel 1958, due adattamenti (“Macbeth” e “Otello”, cui si aggiungerà più tardi “Falstaff”). Del maestro di Stratford-upon-Avon è tangibile l’accurata costruzione dei personaggi, connotati da un’intrinseca tragicità cui si associa, in modo mai banale, un’idea di sottile comicità che permea a macchie di leopardo i dialoghi tra gli attori, alcuni dei quali presentati in pura veste grottesca. In chiave shakesperiana, Quinlan rappresenta la sintesi dei personaggi più eminenti e complessi del Bardo: di Iago mutua la scaltrezza e la capacità di macchinare subdoli sotterfugi in grado di falsificare la realtà a proprio piacimento (calzante la corrispondenza Susan-Desdemona); di Macbeth recepisce la tremenda efferatezza che, ad onta di ogni principio etico-morale, lo spinge a compiere atti dal disumano grado criminoso (“Macbeth: «Potrà tutto il grande oceano di Nettuno lavare questo sangue via dalle mie mani?»” – W. Shakespeare, Macbeth, atto II, scena II); da Amleto, infine, Welles estrapola l’elemento centrale dell’intero film: l’autoinganno. In realtà, questa è una caratteristica tipica di tutti i personaggi (eccetto Susan e Vargas), ma particolarmente accentuata in Quinlan, diroccato dall’amarezza per l’omicidio irrisolto di sua moglie e ambizioso di essere un poliziotto in grado di catturare a qualsiasi costo il colpevole (anche mediante la produzione illecita di prove). Può essere che, come dice, abbia incastrato “nessuno che non fosse colpevole”, ma chiaramente Welles condanna le sue violazioni della legge; allo stesso modo in cui Shakespeare, attraverso il Macbeth, ridicolizza e stigmatizza i dettami del Principe machiavellico.

Da Touch of Evil traspare la grandiosità di un film che, oltre a segnare la fine dell’era del cinema tradizionale in studio, offre 112 minuti di pura poesia visiva, traducendo una sceneggiatura in composizioni eccelsamente originali e movimenti di macchina da presa che uniscono la narrazione e le immagini. Il risultato è un vero e proprio edonismo estatico, seppur irrequieto: insieme lo stile e la sceneggiatura tessono un intreccio di corruzione morale e crollo mentale, che fanno di Touch of Evil uno dei capisaldi del genere noir ed un capolavoro cinematografico internazionale.