Colombo – Alla riscoperta del mito

Magari la prima volta che l’avete visto eravate a casa di vostro nonno, dopo un pranzo piuttosto pesante e con la palpebra calante. Sintonizzati su Rete 4, su una poltrona coperta di plastica per non far rovinare la tappezzeria, l’odore del caffè che esce dalla macchinetta sul fuoco. Vostro nonno che conosce ogni singolo episodio a memoria e ve lo spoilera matematicamente prima di arrivare alla fine. Ma a voi quel vecchio telefilm (come si usava chiamarli all’epoca) non ha mai interessato gran che. Solo l’ennesimo “sceneggiato” da vecchi sulla falsariga di Derrick e dell’orribile marasma di polizieschi made in Deutschland.

E chissà che faccia avete fatto quando quel vecchio show televisivo ve lo siete ritrovato nel catalogo Prime Video. Tra Hunter e The Terror, incastrato quasi come un intruso in mezzo a roba come The Boys, The Man in the High Castle e Peaky Blinders. Senza essere introdotto dal mezzo busto di un’annunciatrice con l’acconciatura eccessivamente cotonata, per giunta.

Eppure Colombo è stato il precursore di prodotti come C.S.I., True Detective, Luther e Sherlock, solo per citarne alcune. Eppure prima dell’acutezza di Benedict Cumberbatch, della flemma decadentista di Matthew McConaughey e dell’ossessione per l’entomologia di William Petersen c’erano un impermeabile cencioso, un paio di scarpe da grande magazzino consunte fino alla suola ed un puzzolente sigaro da quattro soldi.

Quasi fosse un supereroe, era questo, sempre e comunque questo il “costume” con cui Colombo si prendeva la briga di smascherare i criminali di Los Angeles. E se Bruce Wayne sfrecciava per le cupe strade di Gotham con la sua Bat-Mobile, Colombo arriva sul luogo del delitto con una sgangherata Peugeot 403 decappottabile che una sosta all’autolavaggio non l’aveva mai fatta nemmeno per sbaglio.

Ma cosa ha reso Colombo una delle migliori serie poliziesche della storia della televisione?

I motivi sono molteplici, a partire dall’iconica interpretazione del suo protagonista, Peter Falk che grazie a quello che fu il ruolo della sua vita teneva sopra al caminetto 5 Emmy e 1 Golden Globe. E pensare che quando gli proposero la parte non era nemmeno troppo convinto del progetto. Gli autori Richard Levinson e William Link, due compagni universitari appassionati di romanzi polizieschi, portarono lo show sul piccolo schermo agli inizi degli anni ’60, col titolo de Il tenente Fisher, riadattando (per l’episodio pilota) un racconto pubblicato sull’Alfred Hitchcock Mistery Magazine. Nei panni di Fisher c’era Bert Feed che fu poi sostituito per gli episodi successivi da Thomas Mitchell che, sfortunatamente, morì un paio d’anni dopo, causando l’interruzione della serie. Dopo qualche porta in faccia il duo di autori chiese proprio a Peter Falk di dare un chance allo show a cui, nel frattempo, i due avevano cambiato titolo e protagonista.

Colombo era un tenente della squadra omicidi di Los Angeles, di palesi origini italiane, distratto e trasandato, costantemente in bolletta e col sigaro sempre in mano. Ma il suo aspetto alquanto poco affidabile tradiva invece un acume investigativo fuori dal comune. Il personaggio era stato scritto ad hoc per la formula con cui Levinson e Link avevano rivoluzionato la struttura del giallo seriale. Fino a quel momento la scuola inglese aveva imposto quasi come un’istituzione il modello del Who Has Done It? con il quale il detective di turno percorreva a ritroso le fasi dell’omicidio, collezionando indizi per arrivare al colpevole, permettendo allo spettatore di “condurre” l’indagine insieme al protagonista e dandogli la possibilità di arrivare alla soluzione attraverso indizi e prove più o meno nascoste.

Questo genere di percorso deduttivo non interessava Link e Levinson che si concentrarono invece sulla psicologia del personaggio, in particolare sul complesso gioco cerebrale che Colombo avrebbe messo in atto per incastrare l’assassino di turno. Di fatto il percorso deduttivo di ogni episodio veniva ribaltato: lo spettatore (salvo rare eccezioni) assisteva immediatamente all’omicidio e veniva messo da subito a conoscenza del colpevole. Da quel momento il “gioco” pensato dagli autori consisteva nello sfidare lo spettatore a capire come Colombo sarebbe arrivato alla soluzione del caso. Perché Colombo, in un modo o nell’altro, il caso lo risolveva sempre.

E qui torniamo agli elementi che resero lo show un vero e proprio mito, uno ve lo racchiudiamo con quella che forse è una delle catch-frase più celebri del protagonista: “Ah, ancora una domanda….”

Colombo ha già capito dal primo sopralluogo chi sia il colpevole ed inizia un martellante massacro psicologico. Il sospettato, ormai col fiato sul collo, se lo ritrova tra i piedi continuamente: a casa, in ufficio, al ristorante, in bagno…Colombo è sempre lì a stringere la morsa, aumentando gradualmente la tensione intorno agli scambi di battute con la sua preda. Il poveraccio viene sommerso di domande e supposizioni atte a metterlo con le spalle al muro e a farlo crollare mentalmente. Un inesorabile slow burning che non lascia via di scampo. Colombo inizia il gioco del gatto col topo e lo spettatore spesso prova quasi pena per l’assassino, sperando che la sua agonia finisca il prima possibile ed arrivino le manette a liberarlo. E proprio mentre sembrerà uscire dalla stanza per lasciare mezz’ora di rifiato a quel povero diavolo, il bastardo torna indietro, un pollice sulla tempia ed il sigaro fumante nell’altra mano, fingendo di essersi dimenticato di fare un’ultima domanda. E’ il suo colpo di grazia.

E poi ci sono i riferimenti a una fantomatica moglie che nessuno ha mai visto e che rende apparentemente la vita impossibile al detective tra le mura domestiche. Il cane che non ha un nome e che ogni tanto Colombo si trascina dietro, il chili come ordinazione fissa anche nei ristoranti di lusso ed il suo essere spilorcio in ogni situazione. Tutto contribuisce a creare l’immagine di un uomo che a prima vista sembrerebbe un reietto ma che al momento giusto sa diventare un infallibile segugio. Colombo è praticamente Clark Kent, timido e impacciato impiegato che nel momento del bisogno sveste il suo travestimento da piccolo ed inutile essere umano per tornare ad essere l’essere più potente della Terra. In questo caso del dipartimento di polizia di Los Angeles.

Si potrebbe dire che la struttura alla lunga possa risultare ripetitiva e stantia ma i modi con i quali gli autori, negli anni (la serie è andata in per ben 11 stagioni, senza tenere conto di film ed episodio speciali) riuscirono a caratterizzare l’indagine di ogni episodio, rendendola unica, ha dell’incredibile. Stiamo parlando tra l’altro di un’impostazione antologica per ogni episodio. Di fatto, fatto salvo qualche sporadico riferimento nei dialoghi, ogni puntata è autoconclusiva e la scrittura di situazioni e personaggi è a tenuta stagna: non c’è evoluzione nella psicologia di Colombo. Lui è un trasandatissimo Deus Ex Machina: non fa esperienza. Lui ha esperienza. Non acquisisce capacità. Lui ha le capacità. Anzi, è l’unico sbirro che può risolvere quel determinato caso. L’unico sbirro sulla faccia della terra che può arrivare a quella determinata conclusione con quel preciso percorso logico.

Ed in tutto questo è innegabile che l’immenso talento di Peter Falk, calatosi corpo e anima nel personaggio (nonostante, come dicevamo, le iniziali perplessità che lo portarono addirittura a mettere in stand by il progetto per oltre un anno) abbia fatto la differenza e sia stato un elemento portante del successo dello show.

Ma Colombo non è solo Peter Falk. Colombo è anche Leonard Nimoy, Leslie Nielsen, Vincent Price, Rod Steiger, William Shatner, Martin Sheen, Robert Vaughn, Dick Van Dyke, Janeth Leigh e tanti, tanti altri. Nelle varie stagioni dello show sono state dozzine le guest star che si sono susseguite nei vari episodi, quasi sempre nei ruoli del colpevole di turno. In quegli anni, molto più di oggi, era consuetudine che un’acclamata star del cinema facesse delle apparizioni in uno show televisivo. Un episodio canonico, in quel caso, diventava un evento. Tra i migliori episodi di Colombo, non a caso, c’è sicuramente Il canto del cigno (04×7 – 1974), per citarne uno, con protagonista il leggendario Johnny Cash, ennesima “vittima” eccellente del fiuto del detective. Perché un altro punto focale di Colombo è il carisma dell’antagonista, la maggior parte delle volte uno sfrontato milionario certo di farla franca che riesce a mantenere faccia tosta e sangue freddo quasi fino alla fine dell’episodio, salvo poi mostrare il fianco al nostro, come tutti. E non abbiamo sottolineato a caso il fatto che praticamente sempre i delitti si svolgono in un ambiente benestante. Lussuose ville, appartamenti principeschi, ricche multinazionali e via così, in un’inesorabile critica sociale che quasi gode nel mettere in cattiva luce la Los Angeles dei quartieri alti, quella patinata delle ville di Hollywood e Beverly Hills, dei party in piscina e dei consigli d’amministrazione. Il male porta quasi sempre un Rolex d’oro al polso in Colombo. Un costante dualismo tra il benessere, la ricchezza, l’agio e la modestia di un detective che ti arriva in casa con i buchi nelle scarpe e l’impermeabile consumato, che quasi non ha un paio di dollari per il pranzo e che ti incastra facendoti fare la figura del fesso. La vittoria schiacciante del proletariato sul capitalismo.

Ma non solo davanti, anche dietro la macchina presa si sono alternati diversi grandi nomi, magari alle loro prime esperienze da registi. Basti pensare al primissimo episodio, in Italia usato addirittura come pilota: Un giallo da manuale, datato 1971. Il regista? Un ragazzotto occhialuto dell’Ohio, un certo Steven Spielberg. Ma dopo di lui hanno preso parte allo show, nel corso degli anni, anche altri pezzi da 90 come Jonathan Demme, John Cassavetes (anche co-protagonista del secondo episodio della seconda stagione), Ben Gazzara e lo stesso Peter Falk, che collaborò anche alla scrittura di diversi episodi, spesso non accreditato.

C’è poco altro da aggiungere. Quella di Colombo è quasi una formula magica che a distanza di più di cinquant’anni continua a non stancare e anzi a sorprendere lo spettatore con soluzioni narrative argute e intelligenti, quasi mai banali ed in grado di stuzzicare l’ingegno di qualsiasi amante del giallo che si rispetti. Una serie TV da riscoprire anche solo per capire quanto le moderne produzioni milionarie debbano alla creatura di Levinson e Link. E poi c’è l’iconicità di un personaggio che rimarrà nella storia della serialità televisiva per sempre, conquistandovi sin dalla prima puntata.

Viviamo tempi in cui siamo gioco-forza costretti a casa per più tempo di quanto vorremmo e la televisione è uno dei pochi svaghi che possiamo concederci. Beh se avete scrollato i vari cataloghi on demand fino a raschiarne il fondo (ovvero le commedie di Adam Sandler), senza trovare un nuovo show su cui riversare la vostra voglia di binge-watching, noi vi consigliamo di fare questo tuffo nel passato e riscoprire un grande classico.

Scommettiamo quello che volete che diventerà una delle vostre serie preferite.

Mia moglie, ad esempio, lo adora.