Gli occhi di Tammy Faye (2021): Recensione


La 16esima edizione della Festa del Cinema di Roma coglie nel segno con Gli occhi di Tammy Faye, un bizzarro e sorprendente biopic diretto da Michael Showalter e scritto da Abe Sylvia

VOTO MALATI DI CINEMA 7.5 out of 10 stars (7,5 / 10)

Presentato precedentemente al Toronto International Film Festival e in seguito distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi, il biopic sulla vicenda realmente accaduta (e giustamente poco conosciuta nel nostro paese) di Tammy Faye e Jim Bakker approda in Italia dopo aver stregato il direttore artistico della Festa del Cinema di Roma, Antonio Monda, insieme ai suoi selezionatori, tanto da destinarlo alla serata d’apertura di un film sempre più globale, ricco e interessante.

Il film di Showalter rincorre e mette in scena il mito dell’american dream e più ancora dell’american way of life attraverso una parabola di ascesa, caduta e redenzione filtrata da alcune dinamiche estremamente rare, non soltanto per il cinema americano, ma anche e soprattutto per quello internazionale, tra cui il lato immorale e corrotto della religione, nonché del mezzo televisivo.

Due giovani apprendisti predicatori, Tammy Faye (Jessica Chastain) e Jim Bakker (Andrew Garfield) da subito riconosciutisi come differenti e “outsider” si incontrano, conoscono e innamorano durante un seminario di studio in Minnesota. Ciò per cui vivono è il messaggio di Dio, ma ancor più importante sembra essere il suo aspetto economico, dato tanto dal mezzo quanto dai suoi due creatori che in poco tempo si trasformano da nomadi predicatori dei tendoni e delle chiesette locali, a vere e proprie celebrità del panorama televisivo – e religioso – americano dagli anni ’70 ai primi ’90.

Gli occhi di Tammy Faye sceglie però fin da subito un unico punto di vista, quello femminile che osserva e poi elabora l’intero cammino di innocenza e sua conseguente perdita tale da favorire man mano una corruzione sempre più totale tanto dei corpi, quanto delle anime di due soggetti estremamente differenti tra loro che nella falsa convinzione d’aver trovato l’amore nella condivisione d’un progetto pseudoreligioso finiscono ben presto a sporcarsi del crimine probabilmente più immorale (almeno, sembra esserlo per loro), ossia la truffa ai danni dei credenti e sostenitori del messaggio del Signore, per un arricchimento senza fine dei due predicatori/teleimbonitori Tammy Faye e Jim Bakker.

Jessica Chastain, prima ringiovanita e poi invecchiata col trucco prostetico lavora sul corpo e soprattutto sul volto del suo personaggio facendosi veicolo e colonna portante dell’intero film che ben presto dimostra di non voler far altro se non poggiarsi sulla memorabile e grottesca interpretazione della sua interprete principale, limitandosi soltanto a seguire qualche guizzo qua e là tra personaggi secondari e interessanti sottotrame annunciate ma mai realmente approfondite.

Tutto ha inizio con le origini di un personaggio femminile estremamente sopra le righe, grottesco seppur divertente (nonostante la drammaticità degli eventi e dei registri narrativi del film) che si muove tra gli idioti dei Fratelli Coen e la potenza macabra e ironica dell’autodistruttiva Tonya Harding (Margot Robbie) di I, Tonya.
Il film è dunque per certi versi un incontro tra coming of age, biopic e docu drama d’inchiesta nella sua scelta così specifica, schematica (anche se talvolta fin troppo didascalica) e solida degli avvenimenti e del loro sviluppo nella cronologia filmica analizzata e raccontata dalla sceneggiatura e ancor più dal montaggio del film che riflette sì sul seguire liberamente (quasi a flusso di coscienza) la crescita di un personaggio intervallando però tutto ciò con la presentazione dei fatti filtrati dalla lente giudiziaria e di cronaca di cui quel personaggio – Tammy Faye – si è reso complice nel corso degli anni.

La domanda che il biopic vuol dunque porre è: Tammy Faye questi fatti li ha subiti perché ingenua e mossa da un amore cieco e senza limiti, oppure li ha commessi volontariamente e assolutamente conscia delle loro conseguenze?
Gli occhi di Tammy Faye non apre al dubbio ma presenta intelligentemente tutte le fragilità, contraddizioni e disperazioni, ma anche tutto lo humor di un personaggio femminile memorabile che rivive oggi attraverso l’interpretazione dolorosa e come già detto profondamente grottesca della sempre più grande Jessica Chastain che esce fortissima in questo periodo dall’altrettanto notevole prodotto televisivo Scene da un matrimonio.

Un film senza dubbio interessante che riflette sul tema della colpa e dell’amore che talvolta può mutare divenendo odio o ancora celarsi dietro ad ombre cupe fatte di menzogne, secondi fini e scomode verità, le stesse che attanagliano e confondono l’animo di Jim Bakker (interpretato da un ottimo Andrew Garfield), tanto da condurlo ad una trasformazione umanamente estrema che rischia man mano di distruggere tutto ciò con cui Jim entra in contatto.
Un dramma grottesco sulla forza del sentimento e sulla volontà della rinascita che passa attraverso dibattiti ancora oggi molto attuali tra cui lo scontro tra chiesa/religione e omosessualità, emancipazione della donna nella società e accettazione di sé.

Antonio Monda fa centro, Gli occhi di Tammy Faye è un’ottima apertura di festival che si spera possa ottenere presto un’importante distribuzione italiana.

Credit Photo: https://www.romacinemafest.it/