Caro Evan Hansen (2021): Recensione

Caro Evan Hansen, recensione del film diretto da Stephen Chbosky, trasposizione cinematografica dell’omonimo musical. Uscito nelle sale statunitensi il 29 settembre 2021

VOTO MALATI DI CINEMA 5 out of 10 stars (5 / 10)

La parabola registica di Stephen Chbosky – noto scrittore, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense – è interessante rispetto al suo essersi focalizzata fin dal principio sulla realtà dei giovani e la loro visione del mondo.

Nel 2012 un film molto interessante legato alla corrente indie del cinema nordamericano fa discutere ampiamente a causa delle numerose e scomode tematiche trattate tra cui il suicidio giovanile, l’abuso sessuale nell’infanzia e nella famiglia, quel film si intitolava The Perks of Being a Wallflower, tradotto in Italia con il titolo ben più dolce e per certi versi infantile “Noi siamo infinito”.
Con quel film Chbosky adatta il suo stesso romanzo – pubblicato a fine anni ’90 – raggiungendo un successo di critica e pubblico sorprendente. Per la prima volta un autore hollywoodiano racconta i giovani e le loro problematiche, tra cui la depressione, la crisi dell’individuo nella crescita e ingresso nella società degli adulti e molto altro.

Cinque anni più tardi, Chbosky torna nelle sale con Wonder, molto probabilmente il film meno riuscito della sua intera carriera registica. Un dramma fin troppo superficiale e dolce sulla diversità e l’importanza della famiglia. Ancora una volta una trasposizione da romanzo, non più di Chbosky, ma della nota scrittrice e saggista R. J. Palacio.

Sono trascorsi quattro anni dal fiasco al botteghino e dalla scarsa accoglienza critica di Wonder, ed ecco che Chbosky torna con un nuovo film, Dear Evan Hansen, presentato in anteprima a questa sempre più varia e interessante sedicesima edizione del Roma Film Fest.
Questa volta l’operazione è duplice. Da una parte Chbosky adatta un romanzo edito da Sperling & Kupfer e scritto da Val Emmich, dall’altra adatta una nota opera teatrale passata a Broadway più e più volte, ossia il musical Dear Evan Hansen di Steven Levenson e Pasek & Paul.
Chbosky non è nuovo ai musical – nonostante lo sembri – poiché nel 2005 firma la sceneggiatura di uno dei più interessanti e anomali musical della Hollywood di quegli anni, Rent diretto da Chris Columbus.

Dear Evan Hansen dunque sarebbe potuto apparire come un colpo sicuro trattandosi del ritorno di Chbosky al mondo e ai drammi dell’adolescenza, ossia al materiale del suo più grande successo rappresentato da Noi siamo infinito, eppure anche questa volta qualcosa è andato storto.

Il nucleo della narrazione è estremamente classico: nel liceo di un’America di provincia piuttosto anonima e sonnolenta muove i suoi passi maldestri un adolescente problematico, Evan Hansen (interpretato dall’attore e cantante Ben Platt, protagonista dello spettacolo teatrale di successo da cui il film trae origine) che si presenta a noi con il gesso ad un braccio (senza alcuna firma), evidenti problemi nel socializzare ed un innamoramento folle per una delle ragazze più interessanti della scuola, Zoe Murphy (interpretata dalla Kaitlyn Dever di Booksmart).
Tutto sembra essere convenzionale e già visto se non che un suicidio improvviso stravolge gli equilibri e le dinamiche psicologiche non soltanto di Zoe e dei suoi genitori (Cynthia /Amy Adams) e Larry (Danny Pino), ma anche e soprattutto quelle di Evan che pur di ritrovare un po’ di amore e di salvezza da un mondo di bullismo, distanza e solitudine si finge amico della vittima costruendo una pericolosissima rete di bugie e verità fittizie.

Nella prima parte sia un uso del montaggio che della scrittura sembrano condurre il film nella direzione più giusta, quella del teen movie divertito e divertente, scanzonato e per certi versi volgare, o meglio, scorretto così come dovrebbe essere scorretto il cinema sull’adolescenza con tutto ciò che essa comporta a partire dalle derisioni bonarie tra amici, fino alla scoperta spesso maldestra del sesso.
Molto presto però Chbosky sceglie di gestire il suo teen musical diversamente, tralasciando o disinteressandosi quasi del tutto ai personaggi secondari più interessanti, tra cui il divertente Jared Kleinman di Nik Dodani o ancora la dolente e per certi versi gelida Heidi Hansen interpretata da Julianne Moore che trova esclusivamente nel finale un’attenzione maggiore, tale da garantirle quantomeno un arco di costruzione minimale.

Il film appare confuso su più livelli, a partire dal genere di riferimento e poi dai registri narrativi che si susseguono, alternano e contaminano tra loro senza sosta, dal dramma alla commedia, fino alla rom-com più spudorata e poi la tragedia.
L’impianto scenico e sonoro del musical inoltre non soddisfa le attese, risultando floscio, pigro e privo di costruzione cinematografica.

Chbosky non coglie nel segno riuscendo in un’impresa estremamente ardua considerata l’origine giustamente di livello del suo film, ossia la resa scenica pressoché inutile dell’intera tracklist, tanto da spingere più e più volte lo spettatore a domandarsi quale tra le canzoni sia la peggiore.
Nemmeno il suo interprete Ben Platt che incarna i panni scomodi e problematici di Evan Hansen da anni e anni tra teatro e cinema riesce a salvare il film dalla sua rovina.

Caro Evan Hansen,
Un gran peccato per un musical su tematiche così importanti come la malattia mentale nell’adolescenza e nell’età giovane… ad oggi tra i peggiori film della Festa del Cinema di Roma.