L’arminuta (2021): Recensione
L’arminuta, recensione del film diretto da Giuseppe Bonito, unica pellicola italiana in concorso alla Festa del Cinema di Roma 2021
VOTO MALATI DI CINEMA (8 / 10)
Unico titolo italiano in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma 2021, L’arminuta diretto da Giuseppe Bonito, l’interessante regista classe 1974 di Pulce non c’è (2012) convince e conquista critica e pubblico, tanto da ottenere una distribuzione pressoché immediata nelle sale cinematografiche italiane da parte di Lucky Red.
Il film di Bonito adatta l’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, vincitrice del Premio Campiello nel 2017 e protagonista della vicenda che film e romanzo raccontano, ossia quella di una bambina tredici anni che viene improvvisamente restituita alla famiglia naturale cui non sapeva di appartenere.
Della sua vita precedente questa bambina perde tutto, da una casa confortevole, all’affetto esclusivo riservato a chi è figlio unico, trovando una nuova realtà estremamente distante da quella precedente nel mondo contadino dei monti Abruzzesi.
Un mondo fatto di silenzi, chiusura mentale, distanze e disperate morali di ferro che nulla o quasi riescono ad abbattere.
Il film di Giuseppe Bonito è una vera epopea che camuffata da coming-of-age movie racconta l’evoluzione (e l’involuzione) nel corso di alcuni anni di storia di un’Italia celata, scomoda, sporca e di cui vergognarsi filtrata dalla lente prima infantile e poi adolescenziale dell’arminuta, colei che è ritornata.
La struttura narrativa è articolata in modo tale da condurre lo spettatore per mano dalle difficoltà di una terra dura e ostile, popolate da famiglie e logiche altrettanto dure e ostili, all’accettazione più o meno totale di esse, data se non dalla forza d’abitudine, da un seme innato che per qualche tempo è scomparso, o meglio, è stato celato da un’appartenenza fittizia troncata prima della sua reale nascita, quella tra l’arminuta e la vita della città.
Se in un primo momento il film di Bonito sembra farsi documentaristico rispetto alla vita agreste in ogni suo aspetto, dal più insignificante a quello fondamentale è nella seconda e poi terza parte che la potenza narrativa e poi scenica del film decolla, trovando nella ribellione e poi nella successiva identificazione dell’Arminuta in quella durezza, rigidità e moralità contadina ben lontana dalla corruzione d’animo di città, i suoi momenti più significativi e memorabili.
Ciò che si rivela interessante del film è la sua fortissima componente femminile, assolutamente fondamentale, in quanto generatrice (tanto in senso letterale, quanto in senso metaforico) di nuova linfa, speranza e vita per la sopravvivenza di quel mondo sì complesso e duro ma anche idilliaco e puro come quello delle campagne abruzzesi.
Tanto che sembra perfino esistere una logica superiore capace di regolare i conti e ripulire quelle terre e quelle anime dalle azioni corrotte, violente e maligne. Bonito sembra in questo modo rifarsi a certi maestri della storia del cinema Italiano, a partire da Olmi, fino a De Sica e Pasolini con il suo Mamma Roma.
Lo scontro che L’arminuta racconta però non si arresta alla classe e dunque a quella sfera economico-politica tanto cara a quel cinema italiano che per molti anni si è fatto proprio a partire dal duello e confronto tra borghesi, contadini e operai, avanzando piuttosto la sua indagine rispetto alla modernità e dunque al progresso della concezione familiare e del sentimento negli anni della storia italiana, tanto nella figura femminile, quanto in quella maschile.
Si potrebbe riflettere seguendo questo ottimo film di Giuseppe Bonito rispetto a quanto la figura femminile possa essere salvifica e quanto quella maschile possa essere all’opposto fatale e distruttiva, proprio per una volontà di racconto di donna che accoglie e salva e di uomo che vive tra incomunicabilità e distanza rispetto a tutto e tutti, subendo e agendo per forza di cose in maniera scorretta e spesso immorale.
L’arminuta è anche e soprattutto un inno all’unione familiare e più ancora sull’unione tra anime gemelle che appartengano o no allo stesso nucleo non è importante. Così com’è un potente inno alla vita nel suo slancio senza fine verso la libertà, l’indipendenza e la fuga verso le infinite possibilità di realizzazione date dalle proprie capacità e da quella stessa disperata morale di ferro che nasce nel mondo contadino, per poi diffondersi successivamente altrove, pur sempre grazie a queste giovani e innocenti (o forse non più) anime che fuggono altrove pur di ritrovarsi e scoprirsi realmente.
Un grande film che gode di interpretazioni davvero sorprendenti, tra cui quella commovente della piccola e tenera Carlotta De Leonardis, seguita dall’altrettanto memorabile prova di Vanessa Scalera, madre che ha sofferto troppo e che cerca speranza e sollievo in un mondo spietato e sempre più isolato.
Colei che è tornata, colei che conquisterà.
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