Passing (2021): Recensione
Passing, recensione del film diretto da Rebecca Hall, adattamento dell’omonimo romanzo di Nella Larsen. Distribuito da Netflix dal 10 novembre 2021
VOTO MALATI DI CINEMA (5 / 10)
Presentato il 30 gennaio 2021 al Sundance Film Festival e poi in concorso alla 16ª edizione della Festa del Cinema di Roma, Passing, l’esordio alla regia di Rebecca Hall, nota interprete britannica, fallisce clamorosamente pur avendo dalla sua uno stile assolutamente elegante e autoriale, tanto da risultare fin troppo distante anche dalla parabola editoriale di Netflix che invece sorprendentemente lo distribuirà presto a livello internazionale.
Il film è tratto dall’omonimo romanzo del 1929 di Nella Larsen e si concentra sulla tematica del razzismo imperante nella New York di fine anni ’20 e più nello specifico sul rapporto enigmatico, angosciante e sempre più disturbante tra due donne, Irene e Clare.
La prima è una donna di colore estremamente fiera di sé stessa che talvolta però sceglie di ricorrere al trucco pur di fingersi bianca e frequentare i luoghi di New York nei quali la gente di colore è ancora malvista. Irene non ha mai rinnegato le proprie origini, ecco perché ha scelto di condurre la sua intera vita ad Harlem con un marito medico gentile e onesto e due figlioletti da crescere.
Clare, invece, ha deciso di fuggire da quella vita e realtà ricorrendo allo sbiancamento della pelle: questo le ha permesso di sposare un facoltoso uomo d’affari terribilmente razzista che non sospetta minimamente che sua moglie fosse (e sia) a sua volta di colore. Tutto ciò però non sembra bastarle, ed ecco che improvvisamente realizza di desiderare fortemente proprio quella vita che nel corso degli anni ha rinnegato.
Dopo una decina d’anni, Irene e Claire si incontrano ancora una volta a New York, all’interno di un lussuoso hotel per soli bianchi che scatena improvvisamente un gioco sadico e senza fine tra le due donne che si ritrovano ben presto a odiarsi in nome della famiglia, delle ambizioni e delle rispettive qualità.
Rebecca Hall che scrive e dirige il film sembra rifarsi al capolavoro di Joseph Losey, Il servo, nella scelta di narrazione di Passing che comincia in modo apparentemente rilassato e dolce servendosi di un bianco e nero denso e maestoso, fino a diventare via via più cupo, orrorifico, angosciante e perverso a causa del suo costante ribaltamento dei ruoli e degli equilibri.
Ciò che è interessante dell’esordio registico della Hall è dunque lo stile e l’estetica, complice come già detto la meravigliosa fotografia di Eduard Grau che ci riporta a quelle nevicate d’infanzia così potenti, dolci ma anche feroci di Quarto Potere di Orson Welles, mentre risulta complesso riflettere sulla riuscita complessiva del film della Hall.
La sceneggiatura si rivela ben presto confusa rispetto alla gestione delle dinamiche narrative che si fanno inutilmente complesse rispetto ad un’evoluzione convenzionale che si muove tra il dramma psicologico e il thriller senza tuttavia identificarsi in un modello o genere cinematografico preciso.
Passing dunque compie inizialmente una interessante riflessione attorno all’istinto predatorio, alla gelosia e poi all’egoismo che sopravvive e diviene via via più forte tra due donne che in passato sono state amiche poiché complici di un’esistenza comune, mentre nel presente (nella temporalità su cui il film si concentra), all’opposto agiscono entrambe da nemiche sfidandosi in un duello che vorrebbe probabilmente apparire intellettuale ma che finisce ben presto per diventare infantile.
Tessa Thompson e Ruth Negga interpretano rispettivamente Irene e Claire, offrendo due ottime prove molto distanti l’una dall’altra che però non sono sufficienti a risolvere le fin troppo evidenti problematiche del film, tra cui la confusa gestione dei registri e dei toni che se inizialmente sembrano avvicinarsi all’umorismo dark e realmente grottesco di certo cinema black alla Spike Lee, se ne allontanano forse per pudore o per mancanza di coraggio in nome di un modello cinematografico estremamente più fiacco e banale coincidente con il dramma sulla gelosia e l’invidia tra donne.
Nel momento in cui la tematica forte della discriminazione razziale scompare lasciando spazio ai duelli sulle crisi familiari, culturali e sentimentali, Rebecca Hall perde totalmente il controllo del film dimostrando uno scarso interesse verso quell’iniziale tensione psicologica (e orrorifica) capace di ricordare allo spettatore tanto il cinema di Losey quanto quello di Polanski favorendo invece un gusto tematico e narrativo molto più dalle parti della nota serie televisiva Desperate Housewives, con la differenza che quest’ultima si è sempre distinta per intrattenimento e divertimento, due elementi fondamentali per qualsiasi prodotto cinematografico (e televisivo) dei quali l’esordio della Hall risulta tristemente privato.