Gioventù bruciata (1955): Recensione
Gioventù bruciata, recensione del film diretto da Nicholas Ray con protagonista James Dean. Uscito nelle sale americane il 29 ottobre 1955
VOTO MALATI DI CINEMA (8,5 / 10)
Da tempo volevo scrivere qualcosa a proposito di questo film, un cult, una pietra miliare nella storia della celluloide, della pellicola cinematografica, del cinemascope. Che dire, della settima arte in genere!
Ed ora finalmente trovo modo, tempo e spazio per scriverne, tessere e decantarne le lodi.
Tutte le volte che lo rivedo ne rimango incantata!
Qui si intrecciano, si mescolano, si amalgamano e si avvicendano tre storie, tre giovani vite: un timido nuovo arrivato, Jim, il quale fatica ad integrarsi nella nuova scuola, una giovane ragazza, Judy, sbarazzina, fresca, forse un po’ troppo ingenua, o forse chissà è solo l’incoscienza dettata dalla giovane età… affascinante e affascinata dalla vita, fidanzatina e compagna del bulletto della scuola, e vi è poi un terzo ragazzo, affaticato e affaccendato dal trovare un posto, o meglio il suo personalissimo posto, nel mondo, Plato.
I tre scopriranno di avere molto in comune tra di loro e per trovare maggiore conforto e vicinanza, si legheranno sempre di più.
A legarli è la comune mancanza di una salda guida con la quale dialogare ed interloquire, o troppo molle, cedevole, arrendevole, lassa, o troppo rigida quando se non addirittura assente…
L’errore sembra essere imputabile ad una mancanza di dialogo, ove la madre sembra rigida, il padre è forse troppo arrendevole, poco incisivo, altre volte, è il contrario, ad esempio, il padre della fanciulla sembra troppo rigido e drastico nell’allontanarla da sé (si rifiuta persino di abbracciarla o baciarla da quando ‘è diventata una donnina…’), con una madre che non si impone, o nel caso del ragazzo alle prese con un tentativo di trovare un posto nel mondo, è addirittura assente la presenza genitoriale, dove l’unico suo punto di riferimento sembra essere la governante, ovvero colei che l’ha cresciuto e protetto fin da bambino e la quale continua e continuerà a farlo anche ora, come quando dovrà difenderlo dall’attacco dei bulli vedendosi costretta a cacciarli via in malo modo, minacciando i teppisti.
(E il gruppo di bulletti ci rivelerà poi di avere dei “genitori punitivi” a dir poco.)
Prendiamo la scena della resa dei conti tra il timido nuovo arrivato, Jim, e suo padre, un brav’uomo in realtà, umile, docile, dolce, ma nonostante ciò, il figlio non riesce a stabilire con lui un dialogo aperto e sincero…
Una scena questa davvero ricca di simboli da cogliere, con un loro preciso significato che merita tutto un discorso a parte.
E vediamo questi simboli…
Il dramma, l’errore è nel vedere nello stabilire e nel parlare di un ruolo paterno e di un ruolo materno un qualche legame con il genere che invece non hanno nulla a che spartire tra loro essendo due argomenti completamente diversi!
E diamo quindi per assodato che una donna può rivestire un ruolo materno così come un uomo può rivestire ruolo materno, e che una donna può rivestire un ruolo paterno così come un uomo può rivestire un ruolo paterno.
Donna o uomo possono ricoprire ruolo materno, paterno, indipendentemente dal genere, dal sesso, a volte racchiusi contemporaneamente nella stessa persona (nel caso il genitore sia solo per mille motivi a crescere il figlio).
E nulla importa che la coppia sia etero o omo genitoriale, l’importante è che vi sia un equilibrio tra i due ruoli, ovvero tra il ruolo materno e il ruolo paterno.
Perché non possiamo essere permissivi entrambi, e per tutto il tempo, o non possiamo dettare regole rigide entrambi, e per tutto il tempo (e per avere la capacità di ricoprire un ruolo materno o paterno non è nemmeno necessario essere genitori biologicamente parlando, ci sono amici, amiche, zii e zie meravigliose/i senza aver avuto mai figli come suore o parroci stupendamente genitoriali, ma questo è un altro discorso da riprendere poi un’altra volta).
Torniamo al film e alla scena di cui stavo parlando…
Ebbene, vediamo il padre in un timido tentativo di cimentarsi in un ruolo più casalingo, dove vi è il grembiule a simboleggiare, raffigurare e calare nel concreto questo concetto e questo tentativo, e potremmo giudicarlo un modo di porsi e proporsi al ragazzo in altre vesti per rendersi più raggiungibile, accessibile e più avvicinabile, suscitando invece l’ilarità del figlio, non perché lo giudica poco virile ed incisivo, ma perché non è abituato a questo modo di porsi del padre, una risata che vuole cercare condivisione, in una ricerca di sintonizzazione di un ragazzo nei guai, bisognoso in quel momento di una guida non solo amorevole ma anche accogliente, saggia, salda, disponibile, accessibile, non giudicante.
Ecco il motivo della risata del ragazzo, e non c’entra che il padre poiché indossa il grembiule, allora non rappresenta ai suoi occhi il macho di turno!
Insomma sembra che nessuno sappia come trattare con questi giovani ragazzi.
Ai tre ragazzi (e al gruppo dei bulli) dunque manca una guida salda, a volte troppo protettivi, o punitivi, i quali di certo non hanno insegnato ai ragazzi a prendersi ed assumersi le proprie responsabilità.
Per Jim l’unico punto saldo, fermo, un punto di riferimento in caso di bisogno e per ogni evenienza, diverrà il poliziotto, nel quale troverà sia autorità che autorevolezza, quanto amore e protezione.
Il tutto in una persona sola!
Plato invece troverà nella nuova coppia Jim e Judy la coppia genitoriale che avrebbe sempre voluto, amorevoli, comprensivi, simpatici, presenti, e con i quali si può parlare e discutere tranquillamente (troverà nel nuovo ragazzo un’alternativa alla severità del padre?).
E si divertono a sognare, immaginare e immaginarsi tutti insieme in questo ruolo nella casa delle vacanze della famiglia di Plato.
Casa che a mio avviso è l’emblema, il pezzo forte, e rappresentativa di tutto il film!
Una bella casa, una villa principesca, con tanto di piscina (vuota) e un vasto giardino, ma trascurata, lasciata andare, un qualcosa di bello che però non si è saputo mantenere nel tempo, così come bella, anzi bellissima può essere la giovinezza, un dono questo che è molto sensibile al deperimento e al deterioramento, delicata, che necessita di quanta più cura ed attenzione possibili.
Se non vi è un lavoro costante di cura, un tentativo per dimostrare che ci si tiene, un tentativo a dimostrazione dell’impegno e della fatica che ci vuole nell’averne cura, imploderà e collasserà su se stessa.
Ça va sans dire che la bella casa è l’adolescente, mentre il genitore è il tutore di questo gioiello da conservare e mantenere con cura e amore, e deve averne una cura costante, a volte a dir poco faticosa, una cura ed un’attenzione impegnate ed impegnative, una guida salda e capace.
È anche vero che la casa collassata su se stessa, abbandonata, disabitata, il giardino diventato una giungla, sono la rappresentazione dell’adolescente solo e abbandonato a se stesso, un adolescente che anche se bello già di suo in partenza, non può mantenersi tale nel tempo senza un aiuto esterno che lo aiuti a mantenersi tale e che lo aiuti a prendersi cura di sé, poiché non può crescere da solo e con le sue sole forze…
Ah, quanto adoro questo film!