Strappare lungo i bordi (2021): Recensione
Strappare lungo i bordi, recensione della serie animata scritta e diretta da Zerocalcare (Michele Rech). Disponibile su Netflix dal 17 novembre 2021
VOTO MALATI DI CINEMA (8 / 10)
“Ahò, ma te lo conosci ZerocaRcare?”
“L’ho sentito ma non ho mai letto n’cazzo de suo. Me dicono che è forte però…”
(tira fuori dallo zaino un libro mezzo ciancicato)
“Tiè, leggete questo poi me dici”
“Daje.”
Questa conversazione si consuma in un ufficio di Cinecittà, nell’ultima ora di un lavoro del cazzo in cui nessuno di noi vedeva l’ora di alzare le chiappe dalla sedia e tornarsene a casa, consapevole di aver buttato un altro giorno della sua vita. Quel giorno però, io me ne torno a casa con questo libro mezzo spiegazzato. In copertina un ragazzetto su un divano insieme a un armadillo gigante. Comincio a leggerlo sull’autobus e, a pensarci oggi, la scena non era poi così diversa da quella del Joker di Todd Philips, quando Joaquin Phoenix comincia a ridere compulsivamente sul bus, attirando l’attenzione e spaventando visibilmente gli altri passeggeri. Ecco: lui però aveva un disturbo; io scoprivo uno degli artisti più influenti della mia vita. Una folgorazione che mi avrebbe accompagnato per diversi anni, fino ad oggi. Anni in cui ho rincorso un’immagine di me che mi sarebbe piaciuto vedere riflessa nello specchio la mattina. Quell’immagine, però, si faceva sempre più sbiadita e frastagliata e nello specchio non la riconoscevo più. Era una continua lotta per arrivare ad essere quello che avevo sempre immaginato di essere, arrivato ad un certo punto della mia vita ed il fatto che quell’idea mi stesse scivolando dalle mani mi buttava il morale sotto i tacchi, giorno dopo giorno. Poi però impari a fare pace con te stesso e farti bastare quello che hai e soprattutto CHI è rimasto lì, a lamentarsi e a cazzeggiare con te, nonostante tutto. Nonostante strappi e spiegazzature. Perché in mezzo a quel casino di fogli, troverai l’orecchia che avevi messo per ricordarti dove eri rimasto. Ed è da lì che puoi ricominciare.
Da Rebibbia alle vette delle classifiche di vendita del fumetto italiano. I suoi libri tradotti in una dozzina di lingue e pubblicati in tutto il mondo. Tour di presentazione in giro per l’Europa con file chilometriche di persone in coda per ricevere una dedica. Tonnellate di plumcake e migliaia di armadilli dopo, Zerocalcare approda sulla più grande piattaforma d’intrattenimento del mondo con la sua prima serie TV d’animazione: Strappare lungo i bordi.
Per chi ha seguito il suo percorso artistico, dagli albori ad oggi, svegliandosi la mattina per vedere se c’era una nuova striscia sul suo blog, fa un certo effetto ritrovare quei temi e quei personaggi sullo schermo di casa sua, in mezzo a produzioni milionarie che, in qualche caso, non valgono manco un decimo di quanto vale Strappare lungo i bordi. I sei episodi di cui è composta la serie si divorano velocemente, come le pagine di un fumetto, con Zero che presta la voce a tutti i personaggi eccetto l’armadillo, da sempre irriverente e pragmatica incarnazione della sua coscienza, qui interpretato vocalmente da Valerio Mastandrea. Una di quelle cose che ti stampano un sorriso ebete sulla faccia perché non potrebbe esserci niente di più azzeccato.
Una strana sensazione insomma. La sensazione che si sia realizzato qualcosa di incredibile, di innovativo per il nostro paese. La sensazione che “uno di noi” ce l’abbia fatta veramente. Perché Michele uno di noi lo è sempre stato e continuerà ad esserlo. La storia di questa serie è l’ennesima lezione di vita ma mica di quelle pedanti e bacchettone di qualche sedicente motivatore del web che ti dice che se credi fino in fondo in quello che vuoi essere, alla fine girerai in Lamborghini e farai le vacanze su un yacht di 30 metri. E’ una lezione di vita per ripetenti, per quelli che prima di capire qualcosa ci devono sbattere il grugno almeno una ventina di volte…e forse nemmeno bastano. Quelli bravi direbbero “Un racconto di formazione” ma non è esattamente così. Strappare lungo i bordi è ANCHE un racconto di formazione ma è soprattutto la storia di un gruppo di ragazzi che stanno cercando il loro posto nel mondo, ma quel posto è tipo lo spazio angusto e claustrofobico in cui siamo disposti a comprimerci per stare sotto alla transenna a un concerto, con quelli che ti sudano addosso, che ti spingono e ti infilano qualche gomitata nel fegato, quando ti va bene. Quando va male ti ritrovi per terra in mezzo allo schifo con qualcuno che ti calpesta e ti rovescia pure addosso la birra.
Si respira il profumo di qualcosa di nuovo e fresco, qualcosa che prima non c’era e di cui avevamo un dannato bisogno. Eppure c’è anche tutto quello che conoscevamo di Zero in questa serie. Tutto quello per cui abbiamo iniziato ad appassionarci alle sue storie e al suo modo di raccontarle. Quel modo squisitamente romano e periferico che è diventato linguaggio universale e parte del nostro immaginario collettivo, della nostra cultura. Perché noi siamo figli di una generazione che per farsi una cultura non ha avuto altro se non fumetti, videogame e cartoni animati in tv. E’ il nostro mondo, la nostra comfort zone. Zerocalcare, invece, dalla sua comfort zone, quella del fumetto, quella che gli ha dato successo e fama, ha deciso di uscire, andando incontro a qualcosa che avrebbe potuto affossarlo clamorosamente, snaturando e forse sminuendo l’enorme lavoro portato avanti fino ad oggi. E invece dopo questi sei episodi, ricchi di ironia e amarezza, di riferimenti ai nostri dogmi dell’intrattenimento e ai momenti cruciali del nostro percorso di crescita, Zero ne esce addirittura rafforzato, consapevole di aver raggiunto una maturità narrativa che è ufficialmente pronta ad uscire fuori dalla carta stampata, pur con ancora addosso la paura che invece non lo fosse.
Ma oltre a tante cose che faranno contento il suo pubblico, vecchio e nuovo, Michele mette dentro questa serie anche un sacco di cose sue. La sua musica, i suoi luoghi, i suoi amici, la sua famiglia e anche tanto di se stesso. Paure, insicurezze, presunzioni, delusioni, gioie e soddisfazioni. E’ un percorso (è stato un percorso) in cui ci siamo tenuti stretti a Zero per tutto il tempo, guardando dritto davanti a noi e sperando di arrivare da qualche parte, tutti insieme.
Beh siamo arrivati, finalmente. E siamo molti di più di quando siamo partiti. Ma questo non è il capolinea. E’ solo una fermata intermedia. Non ci resta che metterci comodi e continuare il viaggio, sempre che non salga la solita vecchia che ci guarda in cagnesco perché ha fatto la guerra e ha patito la fame. Lì starà a noi: alzarsi e farla sedere o ricambiare quello sguardo truce pensando dentro di noi “CORCAZZO CHE ME ALZO!”.