Matrix Resurrections (2021): Recensione
Matrix Resurrections, recensione del quarto capitolo diretto da Lana Wachowski con protagonista Keanu Reeves. Uscito nelle sale statunitensi il 15 dicembre 2021
VOTO MALATI DI CINEMA (7,5 / 10)
Per parlare del nuovo Matrix bisogna, necessariamente, collocare la pellicola nel contesto culturale e popolare in cui viene presentata, uno scenario in cui la tendenza a creare Remake o Reboot di grandi cult che hanno segnato la storia del cinema è sempre più imperante, sfornando, per lo più, opere discutibili che puntano maggiormente sul fattore ‘Nostalgia’, o ‘Deja-vu’, concetto che ritroviamo all’interno di questo prodotto. Matrix è, sicuramente, una delle pellicole più influenti dei primi anni duemila, un racconto che miscela sapientemente un canonico viaggio dell’eroe a temi di origine etica e filosofica, il tutto presentato con una regia innovativa per l’epoca che ha regalato alla settima arte stilemi che poi sarebbero diventati di ispirazione fissa per molte altre opere da lì a venire.
A dirigere la pellicola, dopo ben 19 anni dall’ultimo capitolo di quella che fu, almeno in origine, una trilogia, torna solamente Lana Wachowski, responsabile, insieme a David Mitchell e Aleksandar Hemon, anche della sceneggiatura. Il dettaglio è fondamentale per contestualizzare alcuni spunti narrativi che riscontriamo all’interno della narrazione, Lilly, infatti, ha scelto di non partecipare al progetto perché l’avrebbe riportata ad un capitolo passato della sua vita. È importante precisare come gli anni trascorsi sul set della trilogia originale furono un periodo di transizione sia della storia del cinema che della vita dei fratelli Wachowski che, successivamente, sarebbero divenute ‘sorelle’. Lana, tuttavia, sceglie scientemente di utilizzare nuovamente il potente mezzo di comunicazione cinematografico attraverso la metafora, per raccontare un ulteriore frammento della sua vita, trasfigurandosi all’interno del Matrix, con le fattezze di Keanu Reeves, per mostrare lo specchio della sua vita a seguito del suo capolavoro, un’autrice imbrigliata dallo stesso prodotto che la consacrò alla fama mondiale. Nonostante opere, personalmente valide, del calibro di ‘Speed Racer’ e, più di tutti, ‘Cloud Atlas’ (tratto dal libro scritto dallo stesso David Mitchell, che qui ritroviamo come co-sceneggiatore) risultano ancora ancorate, agli occhi di un pubblico, forse, meno attento, al loro capolavoro, quasi come costrette a riproporre qualcosa di analogo ma, al tempo stesso, diverso. È, quindi, questa la premessa, o almeno quella che io ho inteso, con cui Lana vuole esprimere sé stessa.
Fin dal primo film il tema principale è stato la contrapposizione tra due concetti antagonisti, eppure così vicini, come quello di finzione o realtà, ripreso anche in quest’ultima opera ed estesa fino a sottolineare l’importanza della dualità, la stessa dualità che distingue, per esempio, uomo-macchina, pillola rossa e pillola blu, Neo e Trinity e che si dispiega nell’anticlimatico, ma poetico, finale. Assistiamo ad un racconto fortemente allegorico, che risulta essere un bel guscio, un mezzo attraverso il quale Lana vuole veicolare un messaggio. The Matrix Resurrections si può analizzare attraverso diversi livelli di lettura. Quello più superficiale è il semplice Blockbuster di intrattenimento, e solamente attraverso questo livello di lettura il film risulta avere più di qualche criticità, come per esempio la reiterazione di dinamiche già viste e metabolizzate con le precedenti opere dell’allora duo Wachowski, le scene di azione meno ispirate e comprensibili che portano a sequenze a tratti confuse, non solo come coreografate ma perfino come movimenti di camera. Inoltre, i pretesti che muovono la trama sono un po’ deboli e poco chiari in alcune scelte risolutive. La trama è sostanzialmente semplice, ritroviamo Keanu Reeves nei panni dell’eletto, Neo, nuovamente intrappolato nel Matrix e con la ‘Skin’ originaria di Thomas Anderson, la stessa con cui l’abbiamo conosciuto nell’ormai lontano 1999. Thomas è un affermato programmatore di videogiochi, di cui, soprattutto, la trilogia di Matrix, un videogame che lo ha consacrato a genio del design videoludico. Le sue giornate si susseguono in un Loop infinito e strane visioni che lo fanno dubitare della stessa realtà in cui è collocato ma con la consapevolezza che qualcosa lo lega ad una donna che incontra sporadicamente in un bar, Tiffany. Thomas Anderson, alter ego inconsapevole di Neo è costretto alla pubblicazione di un sequel della acclamata saga di videogame ‘Matrix’ scontrandosi con le volontà di una Major che vuole spremere una mucca che, forse, non ha più latte. Le idee tirate fuori in fase di brainstorming col team creativo ci portano verso il secondo livello di lettura, che è espresso perfettamente da una matrice puramente metanarrativa, in cui la narrazione e gli eventi che vedono Neo protagonista sono perfetto riflesso dell’industria cinematografica americana.
“Abbiamo bisogno di creare un nuovo Bullet Time”.
La critica è sottile ma feroce ad un sistema che pretende di riproporre prodotti che hanno saputo stregare il pubblico, aggiungendo, però, solamente una esagerazione delle meccaniche che lo hanno contraddistinto fino a diventare capisaldi dell’immaginario collettivo finendo, però, per depersonalizzare l’opera e, quasi, parodizzare l’originale.
I personaggi non hanno più una carica epica, bensì tragica, con volti invecchiati e visibilmente imbolsiti, distogliendo l’attenzione da un classico viaggio dell’eroe per raccontare qualcosa di più. Keanu Reeves offre una prova più silenziosa ma efficace, il suo Neo è visibilmente tormentato e affaticato, accanto a lui ritroviamo Carrie-Anne Moss, che allo stesso modo trasmette una carica malinconica ma di rivalsa. Trinity riacquista una dimensione, la ritroviamo sposata, con figli, ‘una volta era più facile controllare le donne’ dirà un personaggio all’interno della narrazione, quale modo più evocativo di imbrogliarla in un programma che simuli lo stereotipo della donna di casa, con un nome diverso e senza la memoria, con la consapevolezza, però, che avrà il suo posto nel dualismo che abbiamo citato precedentemente. Perfino Morpheus lo ritroviamo con fattezze diverse, quelle di Yahya Abdul-Mateen II, che in quanto ad interpretazione è ineccepibile e si districa al meglio tra le linee di dialoghi, nonostante ciò, il suo personaggio si ritrova ad essere molto meno impattante del suo ‘predecessore’.
Ho personalmente apprezzato il deja-vu come pretesto di narrazione, parte integrante della stessa fino a diventare personaggio ricorrente, la sensazione di già visto viene contestualizzata dalla cornice narrativa, un programma che, in quanto tale, è soggetto ad upgrade, dando la sensazione al pubblico di stare in bilico tra sequel e reboot, le immagini dei precedenti film si sovrappongono a sequenze che sono visivamente simili ma idealmente diverse, snaturate rispetto alla originaria carica epica ma caricate con più pathos. Come dicevo poc’anzi, infatti, la regista ha la capacitò di ribaltare le aspettative collettive per restituire una pellicola che è volontariamente anticlimatica, analogamente a quanto David Lynch fece con il suo ‘Twin Peaks: Fire Walk With Me’
La pellicola non è esente da difetti, tutt’altro, proprio quando il film indugia in spiegazioni pseudo-scientifiche la pellicola comincia a zoppicare, abbandonando l’ambito del metanarrativo ed addentrandoci in una narrazione più canonica si avvertono dei chiari problemi di ritmo e l’opera perde la potenza narrativa. Le sequenze fuori dal Matrix sono meno intense e, a tratti, noiose.
The Matrix Resurrections è, in definitiva, un’opera intelligente, nella quale la trama è un pretesto narrativo per attuare una critica metacinematografica che ha il pregio di essere decodificata, per rimanere in tema, attraverso molteplici chiavi di lettura. Analizzandolo come film a sé stante, sicuramente, i difetti non mancano, a partire da pretesti poco chiari fino a sequenze più pure di azione che non sono sempre comprensibili. Superato questo scalino Matrix si impone come potente opera di critica, cognitivamente stimolante, che riesce a far riflettere e si presta a diverse interpretazioni visione dopo visione.
Photo Credit: Courtesy of Warner Bros. Pictures