Il muto di Gallura (2021): Recensione
Il muto di Gallura, recensione del film diretto da Matteo Fresi. Presentato al Torino Film Festival l’1 dicembre 2021
VOTO MALATI DI CINEMA (7,5 / 10)
Presentato in Concorso alla 39° edizione del Torino Film Festival, Il muto di Gallura, sorprendente e coraggioso film a metà strada tra l’epopea storica, il dramma sentimentale e il western racconta la Gallura della metà del XIX secolo, concentrandosi sulla faida tra le famiglie Vasa e Mamia, in ogni sua tragica e sanguinosa conseguenza.
Sordomuto dalla nascita, Bastiano Tansu (Andrea Arcangeli) è uno dei suoi protagonisti. Maltrattato ed emarginato fin da bambino, dopo l’assassinio di suo fratello Michele si è unito a uno dei due capi fazione, Pietro Vasa (Marco Bullitta), e ha messo al suo servizio la sua furia e la sua mira prodigiosa, diventando un temutissimo assassino. Lo Stato e la Chiesa cercano di arginare l’ondata di terrore e solo dopo più di 70 morti si arriva alla pace di Aggius. Bastiano trova inizialmente la pace nell’amore per la figlia di un pastore, ma in un mondo violento e superstizioso, che già da bambino lo additava come figlio del demonio, uno come lui non può essere assolto e sceglie così di andare incontro al proprio destino.
Il film di Fresi fa qualcosa che molto raramente vediamo nel cinema italiano moderno, ossia esplorare un racconto storico tradizionale filtrandolo con i linguaggi internazionali del western.
Prodotto e distribuito da Domenico Procacci e dunque da Fandango, Il muto di Gallura concentrandosi sul folklore e la potenza simbolica non soltanto del paesaggio ma anche e soprattutto del linguaggio (verbale e gestuale) sardo lavora sul contrasto tra italianità e codici di un cinema più specificatamente americano che si risolvono e identificano nell’uso della violenza, così come nella caratterizzazione dei personaggi e della loro ideologia.
Il film di Fresi potrebbe tranquillamente far parte del ciclo cinematografico di Taylor Sheridan, nel suo porsi lungo la traccia del racconto e cinema di frontiera, in questo caso quella sarda scavalcata e in qualche modo anche protetta da eroi e antieroi che nulla temono, nemmeno la morte.
Bastiano Tansu (un sorprendentemente efficace Andrea Arcangeli) fa parte di questi antieroi. È un personaggio estremamente complesso che si divide tra il sentimentalismo più dolce – espresso attraverso l’innamoramento senza barriere e freni per la figlia del pastore locale – e la crudeltà più efferata – nell’uccisione senza scrupolo alcuno di uomini, donne o bambini – che riporta alla mente celebri personaggi del cinema western i cui racconti di paura e morte – mai realmente provati – contribuivano ad aumentarne l’importanza e il grado di ferocia.
Fresi cita tanto il cinema di Quentin Tarantino nel gusto per una violenza pop molto libera, colorata e dinamica, quanto il cinema di autori molto differenti tra loro come Sam Peckinpah, Sergio Leone e Clint Eastwood.
Il muto di Gallura è un sorprendente western a tinte drammatico-sentimentali che nel lavoro eccelso sull’estetica e le ambientazioni boschive e montane dimostra un controllo e una cura senza precedenti, tale da farsi ben presto un racconto cinematografico capace di respiro epico, assolutamente internazionale e dal divertimento assicurato.
Parte della critica ha lamentato una scarsa profondità d’analisi rispetto alla psicologia dei personaggi mostrati e raccontati nel film. Verrebbe da domandarsi: quanti e quali film western avete visto e amato nel corso degli anni per lamentare una critica fortemente negativa di questo genere rispetto ad un film che in tutto e per tutto fa suoi quei codici e simboli di morali di ferro, spietatezza e individui laconici?
Il muto di Gallura non è un film privo di difetti, ma è coraggioso e rappresenta una novità guardando al nostro panorama cinematografico, per questo motivo vale la pena di assicurarsene la visione.