La notte più lunga dell’anno (2021): Recensione

La notte più lunga dell’anno, recensione del film diretto da Simone Aleandri. Uscito nelle sale italiane il 13 gennaio 2022

VOTO MALATI DI CINEMA 5 out of 10 stars (5 / 10)

Durante la notte più lunga dell’anno, tra il 21 e il 22 dicembre, quando il sole tramonta intorno alle 16.30 e sorge l’indomani alle 7.30, in una città di provincia s’intrecciano le vicende di alcuni personaggi: un politico a un passo dal baratro; una cubista che vuole cambiare vita; un ragazzo coinvolto in una relazione con una donna molto più grande; tre ventenni in cerca di emozioni. Quindici ore di buio ininterrotto, in cui il destino umano si fa eccezionale, poiché la notte fa perdere gli ancoraggi del giorno e gli eventi subiscono un’improvvisa accelerazione.

Questa è la trama del bizzarro e assolutamente anomalo film di Simone Aleandri che fa sua una traccia narrativa riscontrabile in gran parte del cinema americano recente e non, ossia la coralità nel racconto della vita di provincia. Un modello cinematografico (e ancora una volta narrativo) che non è mai appartenuto davvero al panorama italiano, escluse alcune straordinarie eccezioni.

Tornando al film di Aleandri, sono quattro le vicende che scorrono parallele, nessuna delle quali finisce mai davvero per intrecciarsi, o quantomeno per generare interesse nello spettatore. Questo poiché l’approfondimento psicologico (e dunque di scrittura) non appartiene a nessuno di loro. Ogni individuo resta costantemente in superficie, nonostante Aleandri ci si metta d’impegno pur di trasmettere una certa idea di trasformazione e di sviluppo del loro arco temporale.

Molto presto diviene evidente quanto La notte più lunga dell’anno sia un film non riuscito o solo in parte nel suo variare confuso di toni e registri, nonostante l’atmosfera sia poi comunque sempre la stessa e necessariamente trattandosi di un solo luogo in cui ciascuna storia nasce e si sviluppa.

I temi in gioco sono molti: dalla ricerca di redenzione, alla rincorsa di una speranza e una spinta che possa portare a qualcosa di più nella vita ordinaria ormai accettata e in qualche modo subita. Così come l’incontro improvviso con una giustizia necessaria e fino a quel momento evasa e messa da parte, e poi ancora la violenza del sentimento.

Aleandri inizialmente si dimostra abile nella costruzione di un contesto sociale apparentemente ordinato e retto da comportamenti consapevoli che finiscono ben presto per mutare e precipitare in un abisso di tragedia, disperazione e violenza, talvolta fisica e talvolta psicologica.

Il grosso problema del film è che la sua scrittura non permette mai la reale comprensione non soltanto delle motivazioni degli individui nel loro agire nervoso e definitivo, ma anche e soprattutto dell’idea di fondo di un cinema corale così abbozzato e appena focalizzato sull’intreccio e la costruzione narrativa.

Ci sono tanti, troppi dilemmi all’interno del film, ognuno dei quali risulta privo di background, così da impedire un qualsiasi avvicinamento riflessivo, poiché tutto è talmente confuso e accennato da non generarne alcuno.

Salvo le due interpretazioni di Ambra Angiolini disperata ed esausta, così come quella di Massimo Popolizio deluso e incredibilmente sorpreso da una giusta punizione finalmente giunta, il film di Aleandri non decolla mai restando continuamente in stallo alle sue prime battute e sequenze.

Una grande delusione.