Licorice Pizza (2021): Recensione

Licorice Pizza, recensione del film diretto da Paul Thomas Anderson. Uscito nelle sale statunitensi il 26 novembre 2021

VOTO MALATI DI CINEMA 8.5 out of 10 stars (8,5 / 10)

Dopo quattro anni dal meraviglioso Il Filo nascosto, Paul Thomas Anderson torna dietro alla camera per dirigere quello che apparentemente sembra essere una commedia romantica mista ad un coming of age. PTA ci ha abituato ad operazione particolari e che lasciassero dubbi sull’effettiva bontà del progetto – basti pensare allo scetticismo generale quando, in una conferenza stampa, annunciò che avrebbe diretto una commedia romantica con Adam Sandler – ma ad un regista del genere, sicuramente uno dei più influenti nel panorama cinematografico odierno, viene concessa totale fiducia.

Ed è così che nel Novembre del 2021 esce nelle sale americane – ed esportato con un colpevole ritardo soltanto a Marzo in quelle italiane – l’ultima fatica del cineasta americano, che per l’occasione ambienta la storia nella San Fernando Valley del 1973, regalando alla pellicola il nome di una famosa catena di negozi specializzata nella vendita di vinili – nel colloquiale inglese americano Licorice Pizza è proprio il nomignolo dato ai dischi in vinile – in un’epoca in cui la musica è grande protagonista ed Album in uscita quali The Dark Side of The Moon dei Pink Floyd e Selling England By the Pound dei Genesis, solo per citare i più illustri, avrebbero cambiato il modo di intendere la stessa.

I presupposti sembrerebbero indirizzare l’asticella verso un racconto semi-autobiografico, analogamente a prodotti di rilievo, dello stesso anno, come è stata La mano di Dio di Sorrentino e Belfast di Kenneth Branagh. Tuttavia, quello a cui assistiamo è più una nostalgica fiaba e dichiarazione di amore verso gli anni che hanno cullato l’infanzia di Anderson e lo hanno cresciuto artisticamente, rendendo l’operazione, se vogliamo trovarci a tutti i costi un parallelismo, più simile, negli intenti, all’ultima fatica di Tarantino C’era una Volta a Hollywood, seppure stilisticamente così diverso nella forma. Il contesto diventa protagonista, gli scenari, la cultura e l’arte di quel periodo, di quel preciso posto, sembrano diventare personaggio fisico che spinge i ragazzi verso le loro folli corse.

Ci troviamo indubbiamente di fronte ad uno dei prodotti più interessanti di questa annata cinematografica, P.T.A. tesse un bellissimo romanzo che presenta un intreccio assolutamente non classico nel quale la narrazione si muove per episodi, nonostante non si perda il filo portante delle vicende, una scelta stilistica volta a veicolare in maniera più efficace il messaggio di cui la pellicola è pregna e trasmettere il senso di volatilità che solo quegli anni di vita possono portare. Il tutto, coadiuvato da una – come sempre, vorrei aggiungere – impeccabile regia, una brillantezza nei dialoghi e una fotografia (diretta a quattro mani con Michael Bauman) che elevano il tutto a masterpiece da non perdere assolutamente.

La storia vede protagonisti Alana Kane, interpretata in maniera magistrale da una debuttante Alana Haim, una ragazza di 25 anni ancora incerta su cosa le riserverà la vita, che riceve le attenzioni di Gary Valentine, portato in scena dal figlio del compianto Philip Seymour Hoffman, Cooper Hoffman, un giovane e spigliato ragazzo di 15 anni che si infatua della fanciulla ed alla quale, tramite un bellissimo piano sequenza, tenterà di offrire un invito a cena, in maniera talmente insistente e carismatica da far crescere l’interesse della stessa e che porterà alla nascita di una profonda amicizia, che forse nasconde qualcosa di più, nonostante la differenza di età.

I personaggi sono il fulcro della pellicola, la caratterizzazione dei protagonisti è fine e accurata, in fase di scrittura il regista gioca sull’inversione degli stilemi classici che caratterizzano tutte le età. Nel film di Anderson è il giovane Gary ad avere le idee chiare sulla vita e presentare una certa sicurezza verso il futuro che lo attende, viene presentato come un personaggio intelligente e smaliziato, capace di cogliere al volo le opportunità che la vita gli offre e grazie al quale si verranno a creare le varie situazioni che la narrazione propone. A differenza sua, la controparte femminile – se vogliamo vera protagonista della pellicola – viene descritta come una ragazza incerta sul da farsi, una persona disillusa, spaventata dal contesto socioeconomico che vive e vede con scetticismo tutte le opportunità che il giovane Gary le propone, cercando in ogni modo di distanziarsi dal giovane imprenditore per intraprendere una strada sempre diversa. Un parallelismo tra la generazione di inguaribili sognatori, ottimisti imprenditori e spensierati amanti della vita, rappresentati da Gary, e la generazione successiva, preoccupata dalla crisi, sempre in bilico tra disoccupazione e precariato e senza una vera idea di come affrontare la vita, rappresentata da Alana.

È un film energico ed energizzante, fisico, in cui si corre continuamente e la macchina da presa segue le distanze percorse dai protagonisti con piani sequenza, lunghe carrellate e l’uso della steadycam. La corsa è metafora perfetta della ricerca del sogno e del rapporto tra i protagonisti, Alana e Gary corrono sempre parallelamente, oppure è uno/a soltanto dei due che rincorre l’altro/a che, però, in quella circostanza è immobile, come se la vita lo avesse messo al tappeto – letteralmente nella sequenza della motocicletta con Alana e l’attore Jack Holden (un fantastico Sean Penn) – , come se le loro vite non siano destinate ad incrociarsi, non ancora, almeno fino all’ispirato finale in cui finalmente il loro verso è diretto l’uno verso l’altra.

Licorice Pizza rievoca un frammento dell’adolescenza di Paul Thomas Anderson, nel farlo, l’autore mostra l’importanza del contesto cinematografico in cui è cresciuto – per questo inevitabilmente Alana e Gary si riabbracceranno davanti ad un vecchio cinema che proietta Vivi e lascia morire – e fa largo uso della musica, che come detto in precedenza, ha un ruolo fondamentale tanto da ispirare il titolo del film, citando e utilizzando brani dei grandi artisti del ’70, The Doors, Paul McCartney, Nina Simone, intervallati dalla colonna sonora del grandissimo Jonny Greenwood, una grandissima annata per lui che ha firmato l’OST anche de Il Potere del cane.

Licorice Pizza è un’opera immensa, in tutti i suoi aspetti, finalmente una favola di crescita e maturazione improntata su di un cinema autoriale. L’energia scatenata da questo film è palpabile, usciti dal cinema viene voglia di correre e urlare perché il momento è qui, ora.