Fear Itself (2015): Recensione

Fear Itself, recensione del film documentario britannico diretto da Charlie Shackleton. Uscito su BBC iPlayer il 18 ottobre 2015

VOTO MALATI DI CINEMA 7 out of 10 stars (7 / 10)

Fear Itself è il secondo film documentario prodotto dal critico cinematografico e regista britannico Charlie Shackleton.
Dopo il successo di Beyond Clueless (Regno Unito, 2014), una vertiginosa odissea attraverso estratti di 200 teen movie, approda il 18 ottobre 2015 con Fear Itself. Commissionato da Victoria Jaye insieme a Janet Lee e prodotto da Daniel O’Connor, Catherine Bray e Anthony Ing, per la piattaforma online BBC iPlayer.

È un viaggio nel profondo buio del dubbio e del terrore, illustrato da un susseguirsi di scene tratte da alcuni dei film più inquietanti e disturbanti di sempre. Gli 82 film qui raccolti sono molto vari e provengono da tutto il mondo coprendo l’intera storia del genere horror (risalendo fino a Nosferatu del 1922 o a Il gobbo di Notre Dame del 1923).

Charlie Shackleton in particolar modo si avvale della tecnica del collage per realizzare un montaggio continuo in cui le inquadrature scorrono con tempistiche diverse e si mescolano in un coerente scorrimento.
Il film inizia e finisce con una finestra. Siamo all’interno, in ombra, obbligati a guardare fuori attraverso una bassa angolazione, come se fossimo stesi su un letto. Le finestre delle case di fronte e i tetti sono illuminati da quello che potrebbe essere il crepuscolo o forse l’alba. È un’immagine ordinaria di semplice quotidianità che mette però in primo piano l’atto stesso di “vedere”.

Shackleton è interessato a quella zona d’ombra che si crea dove finisce la fantasia catturata da una cinepresa e inizia la realtà vera e propria. Di conseguenza, le immagini di apertura e chiusura della finestra sono le uniche riprese “reali” e contemporanee che vediamo nel film.

Amy E. Watson, la voce narrante, racconta Fear Itself con un tono sussurrato e malinconico, simili a quelli di Fairuza Balk di Beyond Clueless, divenendo quindi il tratto stilistico di Shackleton.
Una strategia che il regista ha sviluppato dai tempi di Beyond Clueless e che si riscontra anche qui è l’idea che il narratore non deve dire esattamente cosa sta accadendo sullo schermo. Infatti, la voce fuori campo di Fear Itself non si concentra totalmente sui filmati stessi, che vengono citati direttamente solo in momenti specifici (come quando si apprende che il killer Jeffrey Dahmer era un fan de L’esorcista III); invece, è importante mettere in luce le paure e le ansie della narratrice stessa. Infatti, man mano che impariamo a conoscere meglio la protagonista, la scelta dei film per illustrare il suo commento sulla paura diventa sempre più autoreferenziale.

Il letteralismo che occasionalmente caratterizza il film rende l’opera disorientante, non si è mai davvero sicuri se la sceneggiatura sia solo finzione o ci sia del reale, se questi ricordi siano di Shackleton o di un personaggio finto creato solo ai fini cinematografici.

Fear Itself non pretende mai di essere l’ennesimo film horror né di avere un giudizio ma usa il genere come strumento per raccontare la propria storia.
Un film che scava dentro la psiche umana, insinuandosi e procreando una serie di domande esistenziali legate al concetto di paura e lasciando lo spettatore con la domanda: dov’è la verità?