Pinocchio di Guillermo del Toro (2022): Recensione

Pinocchio di Guillermo del Toro (Guillermo del Toro’s Pinocchio), recensione del film diretto da Guillermo del Toro e Mark Gustafson. Disponibile su Netflix dal 9 dicembre 2022

VOTO MALATI DI CINEMA 9 out of 10 stars (9 / 10)

Cosa vuol dire perdere chi si ama? Cosa si prova nel sentirsi diversi? Queste sono solo alcune delle domande che Pinocchio di Guillermo del Toro ci pone e a cui ci aiuta a rispondere. Partiamo dal fatto che mai si sarebbe pensato che la fiaba di Carlo Collodi avesse ancora così tanto da dire, eppure essa è ancora capace di ispirarci e di farci riflettere, così com’è stato per del Toro stesso. Il regista de “Il labirinto del fauno” (2006) è tornato in una veste in cui non l’avevamo mai visto e in cui si trova straordinariamente bene: lo stop-motion, tecnica resa celebre ai più da registi quali Tim Burton ed Henry Selick e non c’è dubbio che vi sia qualcosa in questo film che ricordi quelle atmosfere, ma nonostante ciò il film è del Toro puro. La regia, qui condivisa con Mark Gustafson, la fotografia, con quei contrasti tra verde e giallo che tanto la distinguono, e soprattutto la storia sprigionano il suo cinema da ogni poro. In particolare, la storia è, per certi versi, differente da come ce la ricordavamo.

Difatti qui Pinocchio nasce e vive le sue avventure durante il fascismo avvalendo così la storia di una connotazione politica oltre che emotiva. Anche i personaggi non sono come ce li ricordavamo, dalla Volpe a Lucignolo, fino alla fata turchina. Tra trasfromazioni, aggiunte e scambi, le creature di Collodi divengono nuova materia tra le mani di del Toro. Non è più semplicemente la storia del burattino che prende vita, è la storia di un padre che affronta il dolore della perdita del proprio figlio, è la storia di un bambino costretto ad essere l’ombra di un altro, costretto a dover trovare il suo posto nel mondo e, allo stesso tempo, rendersi degno dell’amore del padre. Non finisce qui però, questo Pinocchio è la storia di tanti padri e figli, è la storia di tutti noi.

Quest’opera ci fa sentire capiti, perché ognuno di noi almeno una volta nella vita si è sentito un peso, un “burden”, per le persone che amava, ci fa comprendere l’importanza del tempo che trascorriamo con i nostri cari e quanto sia a noi cara la vita perché unica ed irripetibile.

del Toro centra ancora il bersaglio, mostra come sia possibile realizzare ancora film con un cuore pulsante, un film che sia personale, anche sotto il colosso di Netflix, perché il caro Guillermo non solo realizza una pellicola capace di piacere a tutti, di scaldare il cuore, ma porta avanti quella che è la sua idea, difatti Pinocchio si incastra in coda agli altri film di del Toro dedicati, se così si può dire, alla guerra: La spina del diavolo (2001) e Il labirinto del fauno (2006). Difatti sia Pinocchio, sia i film ora citati, ci raccontano la storia di bambini che in un periodo di guerra vengono a contatto con qualcosa di soprannaturale, quasi a difendersi dalla guerra, ad allontanarla o a trasformarla in qualcos’altro, così come Pinocchio fa con Mussolini.

È forse il modo che ha il regista di dirci che possiamo combattere il dolore con la fantasia? O che delle volte “l’oltre” presenta cose ancora peggiori? Sono queste e altre le cose su cui del Toro ci chiede e ci aiuta a riflettere, accompagnandoci in un mondo fantastico per capire quello reale.

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