1968, quando i giovani salvarono Kubrick dal flop di “2001 Odissea nello spazio”
1968, quando i giovani salvarono Kubrick dal flop di “2001 Odissea nello spazio"
(Recensione del libro “2001 tra Kubrick e Clarke, Genesi, realizzazione e paternità di un capolavoro”)
Oggi “2001 A Space odyssey” del regista americano naturalizzato inglese Stanley Kubrick (1928 New York – 1999 Childwickbury, UK), a distanza di 55 anni dalla sua uscita nel 1968, è unanimemente riconosciuto come il migliore film di fantascienza mai realizzato, e uno dei più grandi della storia del cinema.
In Italia il film uscì il 12 dicembre del 1968. Quando assistetti per la prima volta alla proiezione di 2001 avevo 18 anni e nei fui letteralmente soggiogato, non tanto per la trama ma per il flusso allucinatorio e spettacolare delle immagini che mi aveva incantato e disorientato, agendo su di me a livello subliminale. Posso con certezza affermare che quella sera “non vidi il film” ma che esso letteralmente mi penetrò col suo potere ipnotico, lasciandomi un incancellabile imprinting nella coscienza che dura tuttora.
La gestazione di questo capolavoro della cinematografia mondiale è stata magistralmente ricostruita da Filippo Ulivieri e Simone Odino nel libro 2001 tra Kubrick e Clarke, i quali hanno riportato una puntuale e dettagliatissima cronologia di tutti gli step, giorno dopo giorno, che hanno portato alla realizzazione del leggendario film.
Tutto cominciò quando Kubrick contattò lo scrittore di fantascienza Artur C. Clarke (1917-2008), i quali si accordarono per scrivere il soggetto e la sceneggiatura di un film di fantascienza. In realtà quando i due si incontrarono per la prima volta il 22 aprile del 1964 a New York, non avevano in mano quasi nulla, se non la concorde scelta dei tre temi portanti attraverso i quali dovevano sviluppare il plot:
l’esplorazione spaziale;
l’incontro dell’uomo con una civiltà extraterrestre progredita;
il destino della razza umana in rapporto ai primi due temi.
L’unico materiale concreto che avevano a disposizione era la bozza del breve racconto di Clarke La sentinella.
Da parte sua Kubrick, reduce del recente successo di pubblico e di critica de Il Dottor Stranamore, metteva sul tavolo di lavoro la sua notevole cultura, la sua intelligenza narrativa, il suo background tecnologico e, soprattutto, la sua “ossessione”; cioè la pulsione indispensabile perché nel regista scattasse il desiderio prepotente di accantonare tutti gli altri progetti per dedicarsi in modo spasmodico solo alla sceneggiatura de La conquista del sistema solare, titolo provvisorio del co-progetto Clarke-Kubrick.
Entrambi gli autori avevano come guida una stella polare dalla quale non dovevano deviare: progettare prima e realizzare dopo, un film sci-fi (science fiction) necessariamente visionario poiché proiettato nel futuro, e nel contempo realistico come un documentario. Oltretutto permeato da una profonda filosofia e fondato su basi rigorosamente scientifiche. Qualcosa che al suo apparire – come poi è effettivamente accaduto – avrebbe impietosamente cancellato tutti i junk movies (film spazzatura) popolati da ridicoli mostriciattoli extraterrestri che a bordo di dischi volanti puntualmente invadevano la Terra. Con l’ambizione di elevare il genere sci-fi a un livello di qualità estetico-culturale mai visto prima: una scommessa rischiosa da realizzare tramite una sperimentazione cinematografica ancora tutta da inventare.
Lo sviluppo del progetto fu quanto mai lungo e complicato, implicando la collaborazione di centinaia di maestranze e operatori di molteplici settori: ingegneri aerospaziali della NASA, scienziati, designer, musicisti, scrittori, e consulenti di ogni genere, spesso assunti da Kubrick con contratti a tempo indeterminato, cioè fino a quando egli non si ritenesse soddisfatto del risultato ottenuto. Il “metodo Kubrick”, cioè lasciare la libertà di proporre idee ai suoi collaboratori ma parallelamente sottoporre gli stessi a un controllo asfissiante, era però mal digerito soprattutto dagli assistenti più noti, mentre gli aiuti giovani erano entusiasti di lavorare con un regista della sua levatura.
Nella fase iniziale la collaborazione tra Kubrick e Clarke fu esaltante per entrambi, ma col passare del tempo Clarke cominciò a mostrare segni di insofferenza per i repentini ripensamenti di Kubrick il quale gli richiedeva continui tagli e modifiche che frustravano il suo orgoglio di scrittore affermato.
Superfluo dire che furono di gran lunga sforati i tempi di produzione previsti, con grande apprensione della casa di produzione Metro Goldwyn Mayer che vedeva lievitare costantemente il budget iniziale di 7,5 milioni di dollari, ritenuto già in partenza un investimento ad alto rischio per la realizzazione di un kolossal di fantascienza di cui non esistevano precedenti nella storia del cinema.
Il 29 dicembre del 1965 iniziarono le riprese di 2001 odissea nello spazio negli Shepperton Studios in Inghilterra, dove Kubrick si era definitivamente trasferito con la sua famiglia. Il 31 marzo del 1968 Il film fu finalmente terminato, durava 2 ore e 40’ e constava di 19 pizze metalliche, e kubrick tornò negli USA per le proiezioni di anteprima allo staff della MGM. Lo stesso Clarke era fortemente disorientato, Kubrick gli aveva cancellato tutta la parte della voce narrante ritenendola eccessivamente didascalica, alla quale lo scrittore aveva lavorato con impegno per lungo tempo. I rappresentanti della MGM si mostrarono delusi, nel dopo proiezione circolava la voce «Questa è la fine di Stanley Kubrick», anche perché il budget finale era già salito oltre i 10,5 milioni di dollari, escluse le spese della promozione.
Le anteprime che seguirono annunciavano il bollettino di una impietosa rovina:
1 aprile1968, seconda anteprima per i critici di New York: il critico Alex North ne rimase negativamente sconvolto.
2 aprile 1968, Washington, oltre a Clarke erano presenti i due attori protagonisti Keir Dullea e Gary Lockwood, e pezzi grossi della politica e dell’industria americani: Anche Clarke ascolta i colleghi scrittori di fantascienza esprimere pareri derisori. Si alza e raggiunge Kubrick all’uscita della sala, dove il regista sta contando quanti sono usciti prima della fine: 241. È chiaro che il film non piace a nessuno. «lo odiano proprio» ammette Kubrick sconcertato. Qualcuno vede Clarke uscire via in lacrime.
3 aprile 1968, il magazine di cinema Variety: L’opera è palesemente un lavoro personale di Kubrick, che dovrà quindi ricevere tutte le lodi, o prendersi tutta la colpa.
Il pubblico alla prima di New York è (…) perplesso, annoiato, insofferente, sarcastico e infine dichiaratamente ostile.
4 aprile 1968, il critico di Newsday: (…) il film è – credo – uno spettacolare, glorioso fallimento. Renata Adler del New York Times: 2001si pone tra l’ipnotico e l’immensamente noioso.
Alla prima di Los Angeles comincia ad affiorare il primo segnale in controtendenza: il pubblico più giovane di Hollywood è decisamente impressionato dalla potenza visiva del film.
il 5 aprile 1968, dal Los Angeles Times arriva la prima recensione positiva: un risultato epico, 2001 è un film che tutti i patiti di fantascienza di ogni età e in ogni parte del mondo invocavano a gran voce. Da un punto di vista tecnico supera ogni cosa mai vista prima.
10 aprile 1968, da Boston, Denver, Detroit e Huston grande successo e recensioni positive, mentre gli influenti critici di New York insistono coi loro affondi: Kubrick si è spinto troppo lontano, si è data la zappa sui piedi, un fallimento profondamente insulso.
Lo stesso giorno Kubrick rilascia un’intervista a Variety: Ho voluto pronunciare un’affermazione non verbale, che toccasse la gente a un livello viscerale, emotivo e psicologico. Le persone sopra i 40 anni non sono abituate a liberarsi dalla camicia di forza delle parole e dei concetti letterali, mentre la risposta che stiamo avendo dal pubblico giovane è straordinaria.
Tra quei giovani appassionati del film, lo dico con misurato orgoglio, c’era anche il sottoscritto.
L’opposta accoglienza del film tra pubblico maturo e quello giovanile rifletteva in gran parte la contrapposizione sociale, politica e culturale che stava dilagando in Occidente, iniziata con le rivolte studentesche nell’università di Berkley in California e allargatesi a macchia d’olio in Europa, dove i due fronti avevano trovato nelle manifestazioni contro la Guerra del Vietnam un terreno comune di lotta. E il film ferocemente antimilitarista di Kubrick “Paths of Glory” (“Orizzonti di gloria”) del 1957, certo lo rendeva empatico a quei contestatori.
Mai nella storia del Vecchio Continente e negli USA la frattura tra la nuova generazione rivoluzionaria e quella conservatrice dei padri era stata così profonda, di conseguenza i giovani erano predisposti ad accogliere ogni forma di cultura alternativa che presentava segni di discontinuità con la tradizione, percepita in chiave antisistema. E il film di Kubrick, con la sua visione innovativa, ribaltava totalmente la vecchia pubblicistica degli alieni cattivi e invasori, ma, al contrario, in 2001 era la specie umana che si migliorava grazie all’incontro con un artefatto (il monolite) di una civiltà notevolmente superiore alla nostra.
Inoltre, la competizione spaziale tra URSS e USA rendeva l’opera di attraente attualità, anticipando di fatto la conquista della Luna che da lì a pochi mesi si sarebbe avverata con la missione americana dell’Apollo 11, il 20 luglio del 1969.
Il film infine decollò e venne distribuito in tutto il mondo, approdò agli Oscar del 1969 dove fu assegnato a Kubrick il premio per gli effetti speciali e le nomination come migliore regista, migliore sceneggiatura originale e migliore scenografia.
Il pregevole libro di Ulivieri/Odino 2001 tra Kubrick e Clarke, Genesi, realizzazione e paternità di un capolavoro, in prima istanza si rivolge a chi ama il cinema ma non solo. Questo testo è una scoperta per chiunque si interessi di arte in generale, perché esso ci mostra con dovizia di particolari e numerosi aneddoti la cronistoria delle dinamiche creative di un capolavoro, dinamiche che sono simili in tutte le forme artistico-espressive, il cui interesse quindi travalica il ristretto perimetro del solo settore cinematografico.
Ed è questo, secondo me, il vero valore aggiunto del libro, uno straordinario, atipico “manuale” sul processo creativo che ciascuno operatore, o semplicemente amante dell’arte (artista visivo, scrittore, sceneggiatore, studente d’arte…), può consultare per godere della sua coinvolgente lettura, ma anche per trarre insegnamento e ispirazione da esso.
In fondo, non capita tutti i giorni di andare a lezione da Stanley Kubrick.
Saro Brancato
Ulivieri/Odino 2001 tra Kubrick e Clarke, Genesi, realizzazione e paternità di un capolavoro,
2019, pagg. 175, ISBN 9788834128497, euro 14,24