Decision to Leave (2022): Recensione

Decision to Leave (2022): Recensione

Decision to Leave, recensione del film sudcoreano diretto da Park Chan-wook, presentato al Festival di Cannes nel maggio 2022.

Credit photo: sajinjeon - Lucky Red

VOTO MALATI DI CINEMA 7 out of 10 stars (7 / 10)

“Mr. Old Boy”, sua maestà Park Chan-wook torna al cinema dopo ben sei anni. Sei lunghi anni ci hanno infatti separato da Mademoiselle, suo ultimo lungometraggio. Ed è un ritorno in grande stile visto che Decision To Leave si è portato subito a casa il premio per la miglior regia a Cannes e, a mio avviso, avrebbe potuto dire la sua anche agli Oscar, ovviamente nella categoria miglior film straniero, dove non ha nemmeno rimediato (ingiustamente) la nomination. Ma i bei film non li definiscono né i premi né, tantomeno, le candidature. I bei film sono, non aspirano ad essere. I bei film non vincono sempre premi, spesso sono un premio. Un premio per gli appassionati di cinema. Un premio per il cinema.

Un detective ossessionato dal suo lavoro al punto da non riuscire a dormire più di un’ora per notte indaga sulla morte di un ricco uomo d’affari, precipitato da un burrone durante una scalata. Durante l’indagine conosce la vedova dell’uomo, una donna cinese alquanto schiva e misteriosa con cui però instaura una sorta di complesso legame spirituale, innamorandosene perdutamente. Le sicurezze della sua vita e della sua carriera vengono però compromesse quando la donna diventa la sospettata numero uno per quello che, a tutti gli effetti, non sembra essere stato un incidente ma un omicidio. E non sarà il solo…

Dunque, togliamoci subito il pensiero di tessere le lodi a quello che, oggettivamente, è un autentico fenomeno dietro alla macchina da presa. La raffinatezza, il rigore e la classe con cui Park Chan-wook confeziona la regia di Decision To Leave lasciano attoniti. Le soluzioni visive e le suggestioni paesaggistiche tipiche del cinema orientale si fondono con un appassionato citazionismo: wook omaggia palesemente l’Alfred Hitchcock di Psycho e Vertigo (quest’ultimo, in particolare, sembra il seme che ha ispirato anche la struttura portante del film ed il suo svolgimento narrativo) e il Carpenter de La Cosa senza però snaturare l’anima della pellicola. Un piccolo gioiello, un miracolo filmico come ormai se ne vedono pochi nonostante si possa tranquillamente etichettare Decision To Leave come un Park Chan-wook “minore” e ora vi spiego il perché.

Al netto di un imprinting narrativo che indubbiamente, nella sua eleganza, cattura l’attenzione dello spettatore, la sceneggiatura di Decision To Leave si dipana troppo spesso attraverso sequenze e dialoghi iper-dilatati e a sequenze abbastanza ridondanti. Ovvio che sia una soluzione narrativa studiata appositamente per straniare lo spettatore in modo da tirarlo dentro al film il più possibile. Ed in qualche modo questo avviene: il ritmo compassato e il tono monocorde dello script “cullano” lo spettatore come una sorta di cantilena, fino allo straziante epilogo di questo bizzarro thriller sentimentale.

Di fatto più che concentrarsi sul delitto, sul colpevole e sulle modalità tramite il quale il delitto viene messo in scena, il regista coreano indaga le regioni più oscure dell’animo umano. Cosa si è disposti a fare pur di non rinunciare alla persona che si ama? Cosa non si è disposti a fare per non compromettere la propria integrità di essere umano? Il risultato è un mix piuttosto statico di scene bellissime, tenui momenti di tensione e dialoghi (spesso) inutilmente dilatati (n.d.r. nonostante un discreto doppiaggio in italiano si consiglia ovviamente la visione in lingua originale, anche solo per l’impagabile resa dell’incomunicabilità tra il protagonista coreano e la protagonista cinese).

Eppure c’è questa sorta di dipendenza che Decision To Leave riesce a instillare nello spettatore. Come se il morboso legame tra i due protagonisti fosse riuscito a strisciare fuori dallo schermo e a serpeggiare per la sala per poi avvinghiarsi alle caviglie dello spettatore, trascinandolo in un fangoso ed angosciante abisso di amore e sofferenza.

Manca qualcosa in Decision To Leave però. Manca una dirompente esplosione di violenza (di solito marchio di fabbrica di Park Chan-wook). Manca un fendente che dia la scossa al film, che lo faccia innalzare da mero gioiello registico a vero capolavoro, il suggello di una carriera incredibile. Attenzione, non stiamo parlando né di occasione sprecata né, tantomeno, di delusione. Decision To Leave è un film bellissimo e visivamente una gemma rara. Ma ogni regista ha nella sua filmografia dei totem e dei film minori, come dicevamo nell’apertura di questa recensione.

Decision To Leave è un Park Chan-wook minore. E se questo è un suo film minore, forse dovrebbe rendere bene l’idea della grandezza di questo regista.