Gli spiriti dell’isola (2022): Recensione
Gli spiriti dell'isola (2022): Recensione
Gli spiriti dell'isola, recensione del film diretto da Martin McDonagh. Uscito nelle sale statunitensi il 21 Ottobre 2022.
VOTO MALATI DI CINEMA (9 / 10)
Per comprendere profondamente un film come Gli spiriti dell’isola, probabilmente, bisognerebbe trasferirsi per qualche anno su un’isola abitata da poche dozzine di persone. Senza televisione, smartphone, connessione ad internet o qualsiasi tipo di svago che non sia il pascolare tre vacche e un’asina. Anzi no. Pensate che in questa totale desolazione fatta di tediose abitudini e nessuna prospettiva che non sia il cosa mangiare per cena, il vostro unico momento di evasione sia il bere una pinta di scura con il vostro migliore amico. L’unica persona con cui vi potete confidare e sfogare, parlando del più e del meno anche solo per il gusto di farlo, per il gusto di non portare da solo il fardello di tale solitudine. Ora pensate che questo amico, il vostro unico amico, di punto in bianco decida che non gli andate più a genio e che preferisce tagliarsi via le dita della mano piuttosto che rivolgervi ancora la parola. Come vi sentireste?
E’ proprio così che inizia, nei primi anni ’20, la storia del film. La storia di Pàdraic (Colin Farrell), un semplice contadino che vive con sua sorella e che vive di piccoli piaceri quotidiani, come il trascorrere la serata in compagnia della sua asina e Colm (Brendan Gleeson), burbero violinista che vive solo col suo cane nella sua casa sulla spiaggia. I due sono soliti trascorrere insieme gran parte della giornata nel pub dell’isola immaginaria di Inisherin (al largo delle coste irlandesi), chiacchierando di banalità tra una pinta e l’altra. Un giorno come tanti Pàdraic scopre che Colm non vuole più avere a che fare con lui, stufo delle sue ciance e preoccupato di lasciare questo mondo senza che nessuno si ricordi della sua esistenza e, soprattutto, della sua musica. Pàdraic è devastato da questa decisione e la rifiuta con ogni fibra del suo essere, fino a perdere completamente il controllo della sua vita.
Martin McDonagh torna ad ispezionare le regioni più oscure dell’animo umano dopo il convincente Tre manifesti a Ebbing, Missouri con un film pervaso da una disperazione straniante, pari solo a quella dei protagonisti, interpretati in maniera magistrale da Colin Farrell e Brendan Gleeson. Due uomini pacifici che mettono in scena una guerra spietata, sullo sfondo di una guerra reale, quella civile irlandese, che appare così lontana agli abitanti di una piccola isola tanto da apparire come una mera distrazione dalle abitudini quotidiane. Perché i protagonisti (tutti) de Gli spiriti dell’isola, stanno già combattendo una dura guerra personale, quella contro loro stessi, contro i propri tormenti e i loro sogni infranti. Come la sorella di Pàdraic, la bella Siobhàn (Kerry Condon) zitella appassionata di letteratura che non lascia l’isola solo per amore del fratello e per non abbandonarlo alla solitudine. Come Dominic, che da tutti viene appellato come il proverbiale “scemo del villaggio” ma che invece è un ragazzo problematico che subisce sistematicamente violenze fisiche e psicologiche dal padre, il poliziotto del paese. Tante vite che di vita vera non hanno mai vissuto e che cercano strenuamente di resistere, fino all’arrivo di un futuro migliore che non arriverà mai per nessuno. Forse.
E’ un film che vive di contrasti quello di McDonagh, come quello dei toni della narrazione che oscillano nervosamente fra il dramma e la commedia nera, facendo calare lo spettatore nella tetra realtà dei protagonisti che sembrano beffati dalle dinamiche delle loro stesse vite, come se queste volessero accanirsi contro di loro, mettendoli all’angolo e continuando a colpirli quando sono ancora a terra. Ed il talento del regista irlandese sta proprio nell’affondare il coltello nella ferita, nello scavare nelle viscere di ogni personaggio per mostrarci cosa significa la solitudine e a cosa può portare l’alienazione provocata da una piccola comunità di un piccolo luogo isolato dal resto del mondo. Così lontano e pure così vicino alla “terra ferma”, come gli abitanti di Inisherin chiamano quello che c’è dall’altra parte della costa. Quasi a ricalcare il letale slow burning di Scorsese in Taxi Driver, McDonagh accende la miccia dal primo minuto del film. Il filo dell’innesco però è lungo e la deflagrazione sembra rimandata a mai più. Eppure arriva, più devastante delle bombe che esplodono a pochi chilometri dalle case dei disillusi abitanti di Inisherin, dai loro boccali di birra, dalle loro pecore e dalle loro sonate gaeliche.
Lo script, ad opera dello stesso McDonagh, è caustico ed opprimente, impreziosito da dialoghi interpretabili su diversi livelli, dove ogni parola pronunciata dai personaggi ne nasconde una troppo dolorosa da pronunciare, dolorosa come lo sarebbe un addio o la morte di qualcuno a cui si tiene.
A pensarci bene, Gli spiriti dell’isola è sì un film che parla di solitudine, disperazione ed alienazione ma è soprattutto una storia che si interroga su cosa si è disposti a perdere, pur di cambiare la propria vita. Eppure la vera domanda, l’ossessione che attanaglia il cuore di Colm, di Pàdraic e di tutti gli altri, è: vogliamo davvero cambiare? Ne saremmo capaci?
Scopritelo andando al cinema e perdendovi nelle lande desolate di Inisherin. Non perdetevi per nulla al mondo uno dei film più belli dell’anno.