Z la formica (1998): Recensione

Z la formica (1998): Recensione

Z la formica, recensione del film d'animazione diretto da Eric Darnell e Tim Johnson. Uscito nelle sale statunitensi il 2 Ottobre 1998.

VOTO MALATI DI CINEMA 8 out of 10 stars (8 / 10)

Nato nel 1998 come primo prodotto animato della DreamWorks Animation, interamente computerizzato, Z la formica è un capolavoro straordinario. Prodotto dalla combinazione spaziale del lavoro di DreamWorks e Pacific Data Images, questo film d’animazione dà avvio ad un filone che tra Anni Duemila e Duemiladieci ha utilizzato i contesti più strani e spesso protagonisti animali (Shrek, Madagascar) per affrontare temi maturi che ci riguardano: l’amore tra diversi, l’amicizia, il desiderio di trovare sé stessi. La Dreamworks ci ha fatto pensare a partire da personaggi impensabili e mondi alternativi che erano socialmente avanti molto prima del politicamente corretto (si pensi alla presenza di una sorellastra transessuale di Cenerentola in Shrek). Zeta in qualche modo si può collegare a questo filone di storie innovative e colorate che fanno riflettere e divertire. Mostra una sostanziosa costruzione di contenuto a strati, come spesso usa fare la DreamWorks per parlare al pubblico più piccolo ma anche alla fascia adulta e generare racconti per famiglie, e un impianto di effetti digitali veramente notevole per il ‘98, quando la tecnologia CGI (Computer Generated Imagery) era veramente ai primordi nelle applicazioni per il cinema, forte di poche prime sperimentazioni venute dagli Anni Ottanta ed era stata usata per un unico precedente completmente digitale, Toy Story (1995).

La forza di questo originale prodotto d’animazione risiede soprattutto nella costruzione drammaturgica e nello sviluppo degli eventi, ma ancor di più nella consistenza dei temi toccati. Durante l’infanzia affascina per la caratterizzazione dei personaggi, per il mondo sotterraneo degli insetti, la suggestività delle atmosfere che con i primi effetti digitali sembrano quasi dipinte. Nonostante il film sia solo all’imbocco della strada che ha portato allo sviluppo degli effetti visivi digitali, offre immagini corpose e trasforma in modo realistico gli ambienti del formicaio in quelli che riconosciamo.

Superata l’infanzia, pur facendoci divertire ed entusiasmare attraverso dialoghi che da piccoli/e ci risultano per lo più indecifrabili, ma poi ci illuminano assumendo significati che possiamo riconoscere, Zeta esprime con grande capacità di concretezza i problemi del nostro tempo. Ci parla della propaganda e della sua presa sulle genti, spiega meravigliosamente le dinamiche corrotte della politica ed è un film che parla di un popolo, quello delle formiche, che nella nostra storia potrebbe rispecchiarci. La scelta narrativa più geniale sta alla base: scegliere un formicaio, la grande metropoli in cui tutto si svolge, e le formiche, che fanno parte dei cosiddetti “insetti sociali”, organizzate in una delle società animali più complesse che conosciamo. La società che vive nel formicaio (così come quella dell’alveare, e per questo si rimanda a Bee movie, DreamWorks Animation, 2007, che affronta altre tematiche umane incarnate dalle api) è rigidamente strutturata secondo precise caste con obblighi definiti: le operaie, che lavorano in modo “utile a rendere grande la colonia”, e le formiche soldato, che lottano per la difesa del territorio. La destinazione di una formica, l”individuo” di questa collettività esasperata, è instradata dalla nascita e la possibilità di mobilità sociale non è contemplata. Al vertice del sistema stanno una Regina e sua figlia, la quale sente il peso di dover un giorno ricoprire il solo ruolo di procreatrice di tutto il formicaio al posto di sua madre, ma soprattutto, realisticamente, c’è il peso dell’influenza militare nella gestione del potere, incarnato da un personaggio di geniale spessore: un Generale, che cerca di accrescere il proprio rilievo cercando di avvicinarsi a Bala, la figlia della Regina e di influire sulle decisioni che riguardano la colonia, mentre sul trono i reali (come accade nella nostra realtà) sembrano non accorgersi della pericolosità della sua ascesa.

In una grafica ancora grezza e pastosa, tra musiche avvolgenti, la vita frenetica si muove negli ambienti della socialità, differenziati tra chi è in alto e chi è in basso, con ristrette possibilità di coltivare l’individualità e il tempo libero, per formiche che non vedono mai la luce del sole ma lavorano sotto terra “per il bene della colonia”, come viene loro detto: queste sequenze entusiasmano, poi alla luce di ciò che il film affronta il loro aspetto per noi cambia, ma l’operazione risulta straordinaria. Zeta (ossia l’ultimo di una massa) è un individuo pensante, traboccante di questioni esistenziali: è un operaio, ma a differenza di chiunque gli stia intorno, che si accontenta di vivere il proprio ruolo nella grande colonia in un sistema orientato al bene collettivo, è l’unico che accusa la propria alienazione e si pone domande sull’annullamento totale dell’individuo a favore della colonia. I dialoghi, a questo proposito, sono illuminanti:

E tutta questa colata di entusiasmo per il super organismo, che, sa non posso capire, ci provo ma non la capisco, insomma, io dovrei fare tutto per la colonia e che ne è dei miei sogni?! Che ne è di me?!

La vita di Zeta cambia, come cambierebbe quella di chiunque, quando si invaghisce di una “sangue blu”, la Principessa Bala, scesa nei bassifondi per provare un po’ di “brio da operai”: l’incontro tra due individui di mondi diversi che condividono lo stesso microuniverso e l’insoddisfazione per la propria esistenza incasellata e non scelta, e che invidiano ognuno il mondo dell’altro.

La scena del loro ballo alla locanda della classe operaia resta una delle più belle, proprio anche per l’apparato effettistico non ancora perfetto, che rende tutto molto vero e naturale: per un momento, ballando, le due formiche potrebbero essere due persone che si dimenticano di tutto. Mentre la danza degli operai sembra una marcia e tutti sono omologati nello schema ripetitivo e poco divertente, i due danzano lasciandosi andare al ritmo della musica, risultando più veri e vivi della “massa di zombie”: la pellicola raggiunge uno dei suoi apici.

Un gesto folle porta cambiamento sia nell’esperienza di Zeta che nella vita della gente della colonia: per rivedere Bala l’operaio finisce accidentalmente nell’esercito che sta partendo per il fronte contro le termiti come voluto dal Generale. Zeta finisce col fare un sacco di cose accidentalmente: finito sul campo di battaglia (in una delle sequenze più toccanti) vede con i propri occhi il massacro in quella che è una vera missione suicida; suscitando le ire del Generale si ritrova fuori del formicaio con la principessa Bala, in cerca di una “terra promessa”, una specie di Eden di cui ha sentito parlare, dove gli insetti sono liberi, senza colonia: la speranza necessaria che esista un posto migliore.

Accidentalmente, Zeta finisce col suscitare i pensieri dei suoi compagni operai e anche dei soldati: le sue imprese viaggiano sulla bocca di tutti e innescano una rivoluzione all’interno del formicaio. Ma l’abilità della retorica politica è espressa in maniera fin troppo realistica dalla figura del Generale, che riesce mirabilmente a manipolare le masse e a trasformare Zeta da eroe di guerra a fuggitivo pericoloso e sovversivo che non è certo esempio per la colonia. Sono sequenze che in fase adulta sconcertano per il loro realismo, ma è proprio qui che il film è straordinario: la capacità di avere spessore e affrontare problemi reali, con l’elaborazione fantastica e attraverso la particolare bellezza degli effetti digitali ancora sul nascere, coinvolgendo il pubblico infantile. Per questo Zeta la formica è in grado di accompagnarci nella vita, facendoci divertire e allo stesso tempo ponendoci di fronte il grande problema che continua ad affliggerci da quando siamo società di massa: il confronto tra comunità e individualismo, e un problema che esiste da ancora prima: il rapporto tra il popolo e il potere. E’ un film che educa ai funzionamenti della nostra società, anche quelli più oscuri, e pur raccontandoli nei colori e nell’innocenza infantile, tratta temi molto seri e ha una storia consistente. E’ un film che parla ai popoli, così come dovrebbe parlare a noi.