The Irishman (2019): Recensione
The Irishman, recensione del film diretto da Martin Scorsese con protagonisti Al Pacino, Robert De Niro e Joe Pesci. Uscito nelle sale italiane il 4 novembre 2019
VOTO MALATI DI CINEMA (9 / 10)
Mastodontico.
The Irishman, dall’alto dei suoi 209 minuti di durata, è un cult preannunciato.
Martin Scorsese ha rielaborato la sua regia sulle sue solide basi, mentre De Niro, Al Pacino, Pesci e Keitel ci portano a scuola di recitazione come al solito.
Che bomba.
La storia sottende un enorme arco temporale, quindi, invece che scrivere un riassunto lungo, inappropriato e tedioso della storia, oppure descrivervi le relazioni dei personaggi con gli eventi – anche perché nonostante si tratti di eventi reali, nessuno li conosce, ed è ciò che guida il film, quindi equivarrebbe a spoiler – mi limiterò solo a una sezione dove vi indico i personaggi principali.
Frank Sheeran, soprannominato The Irishman – e interpretato da Robert De Niro – è un reduce di guerra che passerà, durante tutto il corso della sua vita, dall’essere un camionista, all’essere uno degli esponenti più importanti di Cosa Nostra Americana.
L’evento che segnerà di più la vita di Frank sarà l’incontro con Jimmy Hoffa – interpretato da Al Pacino – un uomo disonesto a capo del più grosso sindacato d’America e popolarissimo personaggio pubblico (secondo Frank, solo Elvis e il presidente dei Stati Uniti erano più famosi di lui).
Russel Bufalino, interpretato da Joe Pesci, è il boss della famiglia Bufalino, nonché uno dei grandi boss di Cosa Nostra Americana.
Anthony Provenzano, interpretato da Stephen Graham (Rocketman, Hellboy, Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar), è un luogotenente della famiglia Genovese, in affari con Hoffa.
Angelo Bruno, interpretato da Harvey Keitel, è il boss della famiglia Filadelfia, e un altro dei grandi boss di Cosa Nostra Americana, soprannominato “The Gentle Don” (in italiano “Il Padrino Gentile”) per via della sua propensione alla pace e alla conciliazione.
Peggy, Maryanne e Connie – interpretate da Anna Paquin (Peggy – età adulta), Aleksa Palladino (Maryanne – età adulta), Kate Arrington (Connie – età adulta), Jordyn DiNatale (Connie – 14 a 16 anni), Lucy Gallina (Peggy – 7 a 11 anni), Tess Price (Maryanne – 8 a 11 anni) – sono le figlie di Frank Sheeran e la nostra finestra sulla vita familiare dell’irlandese.
Bill Bufalino, interpretato da Ray Romano (The Big Sick: Il matrimonio si può evitare, l’amore no, L’era glaciale 1, 2, 3 e 4), è cugino di Russel Bufalino e avvocato di Hoffa.
Robert F. Kennedy, interpretato da Jack Huston (American Hustle – L’apparenza inganna, Ave, Cesare!, Giovani Ribelli – Kill your Darlings), è il fratello di John F. Kennedy e anche colui che diventerà procuratore dopo l’elezione del fratello come presidente degli U.S.A.
Mi fermo qui, perché, nonostante abbia citato solo i personaggi estremamente – e sottolineo estremamente – principali, potrei andare avanti all’infinito dato che il cast di questo film è veramente immenso.
Detto ciò, possiamo iniziare.
Ci sono circa 320 scene e 120 location, racchiusi in 209 minuti.
La mole di quest’opera è immensa, ma la formula Scorsese funziona anche stavolta.
Un lavoro iniziato con Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno (1973), e che perdura fino ai giorni nostri – immaginatevi chi vide Mean Streets in sala, nel 1973; Un film di una “velocità” allucinante per quei tempi.
Infatti, Il regista di Elizabeth Street, dopo esserci riuscito con tutti i suoi precedenti film – eccezione fatta per Silence (2016) – ci riesce ancora, ma sollevando ulteriormente l’asticella, considerando che a ‘sto giro è riuscito a rendere leggero un film di 3 ore e mezza.
La pellicola non annoia un attimo; Dopo la visione sembra di aver visto un film di 90 minuti.
Ma il vero punto saliente della regia di Scorsese, in questo caso, è la costruzione delle sequenze.
Le bellissime sequenze create per opere come Casinò (1995), The Wolf of Wall Street (2013) e Quei bravi ragazzi (1990) sono riprese e rinnovate in questa pellicola.
Infatti, le classiche sequenze Scorsesiane, oltre a essere costruite con una narrazione di fondo e gli eventi (o le azioni) mostrate a schermo, vengono costruite con una sorta di “crescendo”.
In altre parole: Martin vi porta su – piano, piano – e poi vi lascia cadere! Suscitando in voi una reazione improvvisa e inaspettata (cosa estremamente difficile da compiere, considerando che, per esempio, durante un assassinio avvenuto per davvero, si sa già che qualcuno verrà assassinato).
Il Production Design, non è affidato a Dante Ferretti (scenografo di fiducia di Scorsese), ma a Bob Shaw (The Wolf of Wall Street, I Soprano, Die Hard – Duri a morire), che svolge un lavoro magistrale.
Tutte le location sono estremamente realistiche ed estremamente accurate; Non danno l’impressione che siano state studiate a tavolino per accomodare color palette, movimenti di macchina e fotografia – cosa che, ad ogni modo, ci piace lo stesso parecchio.
Per la fotografia, che è curata da Rodrigo Prieto (I segreti di Brokeback Mountain, Argo, The Wolf of Wall Street), il discorso è simile.
Il lavoro fatto per riprodurre il Technicolor in The Aviator (2004) continua a sopravvivere nel tempo.
I colori sono saturi nei luoghi bui e opachi della malavita Italo-Americana (non mi sorprende rivedere di nuovo l’accoppiata Prieto-Scorsese dopo il magnifico lavoro svolto in Silence).
Il comparto musicale – ad opera di Robbie Robertson (The Wolf of Wall Street, Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie, Shutter Island) – è a dir poco perfetto.
Le musiche fungono quasi da narrazione a sé stante; i pezzi permeano tutte le componenti della pellicola, muovendo la Cinepresa, ritmando i dialoghi e aggiungendo un pizzico d’ironia quando necessario.
Il lavoro fatto sui costumi, curati da Christopher Peterson (The Departed – il bene e il male, The Wolf of Wall Street, Carol) e Sandy Powell (The Departed – Il bene e il male, The Wolf of Wall Street, La favorita), è in linea con la loro filmografia; Il contesto la fa da padrone, e I’arte del costume non prende mai il sopravvento sulla ricerca del realismo – ricordiamo che questa è una storia vera, oltre ad essere una parte importantissima di storia Americana.
Robert De Niro, che più di tutti, e da più di 10 anni insisteva sulla realizzazione di questo film, ci regala una perfomance magnifica, evitando – come al solito – tutto il processo di drammatizzazione del personaggio (ovvero tutto quello che potremmo definire dialoghi incredibili, emozioni intense etc.) e si è lanciato a capofitto nel realismo estremo e disarmante come ha già fatto moltissime altre volte; Si pensi a Taxi Driver (1976), Re per una notte (1982), oppure C’era una volta in America (1984).
L’interpretazione è spenta e piatta, ma è giusto che sia così. Frank Sheeran, era così.
Sheeran era un duro dal cuore tenero, un uomo che ha combattuto per 411 giornate la guerra (a fronte di 100 giorni di media tra i soldati).
Al Pacino invece va, giustamente (e grandiosamente), nella direzione opposta, un po’ per sua scelta, un po’ per via del grande carisma che aveva Jimmy Hoffa.
Il suo personaggio è estremamente drammatizzato, sembra quasi “nato” per la scena; ogni battuta è precisa, con un’emozione precisa e un messaggio preciso.
L’esatto contrario di Sheeran, che tiene sempre tutto per sé stesso – Negli occhi di Sheeran/De Niro vedrete l’animo di una persona che ha vissuto gli orrori della guerra, mentre in quelli di Hoffa/Al Pacino vedrete una subdola brama di potere e un ego smisurato.
Per quanto riguarda Pesci, Keitel, Plemons, Paquin, Cannavale e il resto del cast della pellicola, il discorso è lo stesso.
Prove di recitazione estremamente valide e variegate; ognuno ha scelto la propria strada, e nessuno di loro ha commesso errori nel percorrerla.
Il ringiovanimento digitale in questo film è, senza dubbio, la forma migliore che questa tecnologia abbia assunto fino ad ora.
Dopo aver visto Gemini Man, ero curioso di vedere fino a che punto si sarebbero spinti con questa tecnologia in The Irishman, e devo dire che effettivamente qui è molto meglio.
Innanzitutto, qui l’uso è massiccio. Credo che siano stati ringiovaniti per almeno il 70% della durata della pellicola, e tra l’altro non uno, ma ben tre, o addirittura quattro attori (Pacino, De Niro e Pesci sicuro, Keitel non ne sono sicuro).
Ad ogni modo, se non ci pensate, non ci fate caso.
Anzi, vi dirò di più, ad un occhio non allenato a riconoscere la CGI, potrebbero apparire semplicemente come volti illuminati da una luce morbida e ammorbiditi ulteriormente in post-produzione.
Ma non solo, la tecnologia qui lavora meglio che mai: sovraesposti, sottoesposti, luce naturale, luce fredda o calda che sia, questi volti digitali non vacillano mai (come invece accadeva in Gemini Man).
Una delle pecche che ho riscontrato è stata la struttura del film.
Non è facile da seguire, poiché va avanti e indietro nel tempo in continuazione, e a ritmi frenetici, rendendo l’attenzione richiesta maggiore.
Inoltre, sarebbe stato bello vedere Harvey Keitel un po’ di più.
Questo film è una storia di amici.
Un gruppo di persone che, incontrandosi durante uno dei periodi che hanno segnato maggiormente la storia degli Stati Uniti, ne ha modificato irrimediabilmente il percorso.
Un’opera che ricorderete, che vi porterete dietro, e che probabilmente i vostri figli un giorno vorranno vedere.
Un capolavoro.
Questa pellicola ci insegna che tutti pagheremo tutto, e lo pagheremo a caro prezzo.
Il controllo non esiste, è solo un’illusione del momento.
Non si può scappare della vita… neanche con tutto il potere del mondo.