37 Seconds (2019): Recensione
37 Seconds, recensione del film diretto da Hikari con protagonista Mei Kayama. Uscito nelle sale il 9 febbraio 2019, è in concorso al RIFF – Rome Independent Film Festival 2019
VOTO MALATI DI CINEMA (6,5 / 10)
I 37 secondi del titolo sono quelli passati senza ossigeno da Yuma, alla sua nascita. Questa iniziale assenza d’aria le ha procurato un danno cerebrale permanente che ha compromesso le sue capacità di movimento, costringendola così su una sedia a rotelle. Nonostante le limitazioni motorie Yuma si afferma come disegnatrice di fumetti anche se il suo lavoro non viene immediatamente riconosciuto e valorizzato nella giusta maniera.
La regista Hikari ci trasporta in una dimensione metropolitana (a volte frammentata dai dettagli di piante, alberi e fiori) dove si alternano agli interni di case, ospedali, locali ed uffici gli esterni di strade e stazioni, attraverso le esperienze vissute da questa giovane ragazza, soprattutto dal punto di vista sessuale e relazionale. Sono i corpi, dunque, ad avere un ruolo chiave nella pellicola, i corpi e i loro desideri di essere toccati e sfiorati, di entrare in contatto, di provare piacere. La sessualità ancora repressa e inesplorata di Yuma diventa la possibilità di osservare dall’interno, per lo spettatore, le dinamiche di avvicinamento epidermico che percorrono la società giapponese. I manga, la prostituzione maschile e femminile, i sex toys, la pornografia, sono tutti elementi che sembrano far emergere ancora di più la perdita di una concreta capacità di creare connessioni umane dirette. Se da una parte la ragazza è affascinata da forme falliche per scopi artistici dall’altra la semplice rappresentazione figurativa di un pene o la sua duplicazione plastica sembrano non essere sufficienti a soddisfare pienamente le curiosità della sua libido.
Le barriere più difficili da superare per Yuma non sono quelle architettoniche o degli spazi urbani (tutti stupendamente funzionali) ma quelle che ancora la separano da se stessa in quanto persona, le barriere che una madre iperprotettiva e apprensiva ha costruito nella psiche della figlia perché il loro legame di dipendenza reciproca desse un senso alla sua esistenza.
37 seconds trova la sua coerenza visiva e filmica nel mostrare senza falsi pudori e senza voyeurismo l’intimità di una ragazza paraplegica nell’alienante realtà di un mondo in continua trasformazione ed evoluzione tecnologica. Rallentata e calibrata sui ritmi propri della protagonista, la pellicola si modifica gradualmente in un viaggio di formazione privato (dal Giappone alla Thailandia), in cui verità inaspettate trasformano il dolore di una scoperta familiare nella presa di coscienza del proprio posto nel mondo.