Motherless Brooklyn (2019): Recensione

Motherless Brooklyn, recensione del film diretto e interpretato da Edward Norton. Uscito nelle sale italiane il 7 novembre 2019

VOTO MALATI DI CINEMA 8 out of 10 stars (8 / 10)

Scritto, diretto e interpretato da Edward Norton.
Motherless Brooklyn – I segreti di una città, tratto dall’omonimo romanzo di Jonathan Lethem, si rivela una valida pellicola, pregna di carattere, stile, e con un cast clamoroso.

Lionel Essrog (Edward Norton), soprannominato Brooklyn da Frank Minna (Bruce Willis), è un orfano con la sindrome di Tourette che lavora per l’agenzia privata di Frank.
Subito dopo l’omicidio di quest’ultimo, egli si mette ad indagare sull’accaduto, fino a ritrovarsi in una matassa di imbrogli politici per gli appalti pubblici – il tutto organizzato da Moses Randolph, interpretato da Alec Baldwin.
Sul suo percorso incontrerà personaggi di ogni genere, dai gangster, passando per giornalisti e attivisti, fino ad arrivare a Jazzisti Afro-Americani.

Questo progetto è pieno di passione; e si vede.
La performance di Norton è fantastica (non ci aspetteremmo nulla di meno da un talento come lui), anche se a tratti cade in uno smarrimento generale – un classico dei registi-attori, pensate a George Clooney in Monuments Man).
Nonostante sia alla sua seconda prova dietro la macchina da presa – cosa che si vede spesso in alcuni eventi del film trattati in maniera troppo spiccia – l’opera è piena di personalità e virtuosismi veramente magnifici.
Apprezzerete tantissimo la sequenza del bar, dove vedrete la musica entrare in simbiosi con il disturbo di Tourette, allo stesso tempo cercando di confonderci sul significato della scena, e alla fine ci accompagnerà piano piano verso la conclusione di una sequenza magnifica.
Apprezzerete allo stesso modo anche varietà e diversità dei personaggi – possiamo dire che coprono quasi tutto lo spettro.
Ma soprattutto apprezzerete la pura onestà generale dell’opera.
Il tormentato personaggio di Norton non viene mai trattato in maniera subdola o indirizzato verso inutili cliché, e lo vedrete nel modo in cui è trattata la sindrome di Tourette.
Sia il modo in cui è rappresentato il disturbo in sé, sia il modo in cui gli altri si relazionano con un individui afflitto da quest’ultimo, è estremamente realistico e mai banale – ricordiamo che siamo negli anni ’50, e nonostante la malattia era nota dal 17esimo secolo, e Georges Gilles de la Tourette la descrisse già nel 1884, praticamente nessun medico considerava l’esistenza di questo disturbo; la sindrome verrà poi presa in considerazione solo alla fine degli anni ’90.

This image released by Warner Bros. shows Gugu Mbatha-Raw, left, and Cherry Jones in a scene from “Motherless Brooklyn.” (Glen Wilson/Warner Bros. Pictures via AP)

Per quanto concerne alle performance, sono tutte molto solide e credibili.
L’unico problema è che non hanno un arco.
Un arco del personaggio sarebbe la differenza nel personaggio dal momento in cui viene presentato al momento in cui viene “concluso”.
Ecco, se per esempio prendiamo i personaggi di Alec Baldwin e Willem Dafoe, rispettivamente Moses Randolph e suo fratello, Paul, purché interpretati magistralmente, e molto tridimensionali, non hanno alcuno sviluppo sostanziale.
Stesso identico discorso per Laura Rose, il personaggio di Gugu Mbatha-Raw (Zona d’ombra, La bella e la bestia, The Cloverfield Paradox) – tra l’altro personaggio cardine nella scoperta di Lionel – e anche per i personaggi di Bobby Cannavale (Ant-Man, The Irishman, Tonya) e Michael Kenneth Williams (Assassin’s Creed, 12 anni schiavo, Ghostbusters).
Anche se durata poco, bellissima l’apparizione di Bruce Willis; sarebbe stato bello vederlo di più, magari tramite flashback.

Il comparto musicale – curato da Daniel Pemberton (Steve Jobs, operazione U.N.C.L.E., Venom) – come già detto prima, è strabiliante.
Un vero tributo alla città di New York. Una colonna sonora piena di cultura, tradizione, e che nonostante ciò molte volte viene usata come carburante per le sequenze, di azione e non.
La Cinematografia di Dick Pope (Legend, L’uomo dell’anno, The Illusionist – L’illusionista), invece, è un po’ fuori luogo.
La scelta di girare la pellicola in digitale (Arri Alexa Mini e XT, con Cooke Speed Panchro e S4 e Panchro/I Classic) non ha pagato; non si respira mai quell’aria anni ’50, soprattutto per via dei colori poco saturi, le luci molto deboli e i neri e mezzitoni troppo scuri.
Anche i costumi – curati da Amy Roth (The Avengers, Bad Company – Protocollo Praga, La guerra dei mondi) – non brillano affatto; direi quasi da “Sotto-realismo”.

In conclusione, sento di consigliarvi pienamente questo film.
Un’opera autentica, originale, senza scelte scontate e realizzata con impegno e qualità.

Pellicole come questa, oggigiorno, sono preziose.