Mystic River (2003): Recensione

Mystic River, recensione del film diretto da Clint Eastwood con protagonisti Sean Penn, Tim Robbins e Kevin Bacon. Uscito nelle sale italiane il 23 ottobre 2003

VOTO MALATI DI CINEMA 8 out of 10 stars (8 / 10)

1975. Dave, Jimmy e Sean, sono tre ragazzini che giocano insieme per le strade di Boston.
Uno di loro – Dave – con un pretesto viene fatto salire a bordo di un’auto da due sconosciuti. Scomparirà per quattro giorni, durante i quali nessuno, tranne lui, saprà cosa gli sia accaduto.
Venticinque anni dopo, Dave (Tim Robbins), Jimmy (Sean Penn) e Sean (Kevin Bacon) si ritrovano per la morte di Katie (Emmy Rossum), figlia di Jimmy, barbaramente uccisa. Ignoto è il nome dell’assassino.
Nel corso delle indagini condotte da Sean – divenuto poliziotto – insieme al sergente Powers (Laurence Fishburne), emergeranno indizi di colpevolezza nei confronti di Dave, alimentati da strane coincidenze e mai sopiti pregiudizi.
L’innesco di una tragedia nella tragedia sarà inevitabile.

Utilizzando la struttura del thriller e del montaggio alternato, Clint Eastwood realizza un film solido e di rara densità introspettiva, sostenuto dalle prove straordinarie di Tim Robbins e Sean Penn, qui davvero in stato di grazia.
Non ci troviamo dinanzi ad un racconto giallo tout-court, ma al cospetto di una tragedia che assume le sembianze di un passato doloroso mai davvero rimosso.
Come liberarsene una volta per tutte?
Di certo, non basterà l’essersi ricostruiti una propria vita o l’aver negato la reciproca amicizia.
Occorrerà agire più a fondo, andare alle radici, estirpare la causa prima.
In tal senso, l’evento della morte di Katie – più che nucleo, punto di snodo del racconto – rappresenterà il pretesto, l’opportunità per sistemare definitivamente i conti coi propri demoni.
E sarà proprio per tale motivo che non avranno importanza difese, scusanti o spiegazioni; perché non di vendetta si tratterà, ma di redenzione pura; o, per meglio dire, di illusione di redenzione, giacché, in verità, versando ulteriore sangue non si sarà fatto altro che aggiungere dolore a dolore, demone a demone; e davvero non ci saranno feste o sguardi d’intesa che tengano a suggellare la liberazione dal male.
Ma soprattutto, a nessuno verrà realmente consentito di affrancarsi da quel che è. Ognuno resterà inesorabilmente condannato a se stesso.

Per questo racconto tragico, tratto dal romanzo La morte non dimentica di Dennis Lehane, Clint Eastwood si affida ai primi piani dei suoi protagonisti, ai lenti movimenti di macchina e ad un ritmo ampio e cadenzato che consente il giusto approfondimento psicologico.
Sorreggono potentemente la narrazione la fotografia dai toni cupi di Tom Stern – felice nel risaltare simbolicamente nei chiaroscuri la compresenza del bene e del male – e l’ottima sceneggiatura scritta da Brian Helgeland.
Molto efficaci anche le musiche minimaliste e malinconiche realizzate dallo stesso regista.
E se delle interpretazioni di Robbins e Penn si è già detto (per la verità, anziché “dire”, bisognerebbe semplicemente “ammirare”), non vanno dimenticate le prove assolutamente credibili offerte da Kevin Bacon e da Marcia Gay Harden, bravissima nell’indossare i panni di Celeste, moglie di Dave.

Con Mystic River, Clint Eastwood tocca una delle vette della sua filmografia da regista.
Il suo capolavoro resta ancora il crepuscolare Gli spietati, ma film come questo o come Million Dollar Baby e Gran Torino rappresentano racconti di alta densità espressiva, capaci come pochi di commuovere lo spettatore senza espedienti narrativi furbeschi, magari “con mestiere”, ma pur sempre onestamente.
Eastwood può non considerarsi un innovatore della settima arte, il suo classicismo può far storcere il naso a qualcuno, ma è fuor di dubbio che egli sia un narratore eccellente, in grado di ottenere il massimo dai propri attori (chi non ricorda, tra le tante, l’interpretazione superlativa di Hilary Swank nel citato Million Dollar Baby?) e di portare il risultato a casa quasi sempre.

Vincitore agli Oscar 2004 dei premi per il migliore attore protagonista (Sean Penn) e per quello di miglior attore non protagonista (Tim Robbins) – premi già conquistati ai Golden Globes 2004 – dopo aver ottenuto la candidatura anche come miglior film, miglior regia, miglior attrice non protagonista e miglior sceneggiatura non originale, il lungometraggio ospita anche un adorabile cammeo del “sergioleoniano brutto” Eli Wallach nei panni del negoziante Loonie.

In breve, Mystic River rappresenta un racconto senza sbavature, compatto, monolitico.
Si tratta, in parole povere, di un gran bel film, capace di tenere l’attenzione dello spettatore lungo tutta la sua pur non breve durata (137 minuti) e di non annoiare mai nonostante l’andatura lenta.
Commozione garantita.
Da vedere e rivedere.