L’odio (1995): Recensione

L’odio, recensione del film diretto da Mathieu Kassovitz con protagonisti Vincent Cassel, Hubert Koundé e Saïd Taghmaoui. Uscito nelle sale italiane il 21 settembre 1995

VOTO MALATI DI CINEMA 8 out of 10 stars (8 / 10)

“Jusqu’ici tout va bien…”

“Fino a qui tutto bene”. È il questo il mantra che ci portiamo lungo tutta la durata del film di Mathieu Kassovitz del 1995, pellicola che prende spunto da un reale fatto di cronaca accaduto nella banlieue parigina in cui un ragazzo viene ucciso dalla polizia francese.
Il film, girato in bianco e nero, riprende uno scorcio di una tipica giornata di tre ragazzi parigini: Vinz, un ragazzo ebreo pieno di rabbia (e odio) nei confronti del sistema e della polizia, interpretato in maniera brillante e spietata da un Vincent Cassel allora 29enne; Hubert, interpretato da Hubert Koundé, un ragazzo tranquillo che insegue il suo sogno di diventare un boxeur, e infine Saïd, interpretato da un giovanissimo Saïd Taghmaoui, che lo segnerà come suo primo film d’esordio di attore.

Kassovitz, come nel suo precedente film Métisse (Meticcio, 1993), i cui i tre protagonisti ricordano molto gli stessi Vinz, Hubert e Saïd, è molto abile nel riportare la realtà della banlieue parigina sugli schermi. A partire dall’uso del bianco e nero, che dà al film una triste freddezza ma che restituisce allo stesso tempo una velata poeticità di stampo neorealista e documentaristico (non a caso i nomi dei personaggi coincidono con gli stessi nomi degli attori).

Kassovitz ci vuole far immergere in un mondo confuso, pieno di paura, violenza e odio, totalmente diverso da quella Parigi chic e fiabesca del Favoloso Mondo di Amelie. La periferia, qui, diventa campo di continui scontri armati in cui l’unico obiettivo è sopravvivere a ogni costo. Le barriere etniche vengono superate, non importa se si è bianchi o neri, musulmani o ebrei, tutte le comunità convivono in maniera indistinta allo scopo di combattere un nemico più grande di loro. Kassovitz, infatti, mette in evidenza la continua lotta e confronto tra società e comunità.
Interessante è poi l’impiego di didascalie che scandiscono il tempo tra una sequenza filmica e l’altra, come a voler restituire una ciclicità e valenza simbolica alla vicenda, in cui malgrado la brutalità degli avvenimenti, tutto continua imperterrito davanti una città che rimane indifferente. Merito della riuscita del film è dovuto in parte anche al direttore della fotografia, Pierre Aïm, che ritroviamo già collaboratore con Kassovitz nella pellicola precedente Métisse. Aïm, infatti, con i primi piani degni di una fotografia d’autore ci restituisce in maniera nuda e cruda la realtà del sobborgo parigino.

L’Odio nonostante sia del ’95, rimane, purtroppo, un film estremamente contemporaneo che ci fa riflettere duramente su realtà che anche se così vicine ci appaiono più distanti che mai.