Il cigno nero (2010): Recensione

Il cigno nero, recensione del film diretto da Darren Aronofsky con protagonista Natalie Portman. Uscito nelle sale statunitensi l’1 dicembre 2010

VOTO MALATI DI CINEMA 9.5 out of 10 stars (9,5 / 10)

Trovare in se stessi un alter ego che vada a colmare i vuoti che mancano alla nostra personalità per diventare degli artisti migliori, fino a far prendere il sopravvento a questo alter ego al punto che arte e vita si intreccino fino alla follia. Questo è il concetto cardine del film “Il cigno nero” di Darren Aronofsky.

Nina Sayers è una ballerina di grande talento, bellezza e perfezione. Delicata e dolce, è l’incarnazione stessa del “Cigno bianco”, ma a causa dei traumi a cui è stata sottoposta per tutta la vita della madre Erica Sayers, un’ ex-ballerina che ha visto sfumare il suo sogno di diventare una grande danzatrice con la nascita della figlia: “la mia bambina”, come la chiama in continuazione, le manca, in apparenza, quella parte torbida e sensuale che le servirebbe per interpretare il “Cigno nero”. È qui che entra scena Lily, l’alter ego creato dalla psiche già molto instabile di Nina, quando a New York il regista e coreografo Thomas Leroy decide di aprire la stagione con una nuova e oscura versione de “Il lago dei cigni”. Lily sembra chiaramente una proiezione di Nina, non a caso non ha neanche un cognome; è semplicemente Lily, questa nuova ballerina che entra misteriosamente a far parte del corpo di ballo che inizialmente nessuno sembra vedere e che al contrario di Nina è un vortice di sensualità e passione. Lily altro non è che l’altra metà della protagonista che crea questo alter ego per trovare il suo “lato oscuro”? Quello che le serve per interpretare entrambe le parti, fino a perdere coscienza della propria soggettività? La vita di Nina si trasforma così nella “vera” versione de “Il lago dei cigni” fino a portare quella instabilità emotiva che caratterizza la protagonista, alla follia. In compenso, riuscirà a trovare in se quella parte oscura, che pagherà con l’atto estremo e finale del suicidio, ma che la porterà anche ad essere un superbo “Cigno nero”.

Darren Aronofsky, fa un uso quasi maniacale di specchi e riflessi per dare allo spettatore la possibilità di fondersi e di confondersi con l’instabilità emotiva di Nina e mettere in evidenza il fine del film che vuole sottolineare questo darsi senza freni all’arte e per l’arte che in questo caso è rappresentato dalla protagonista e dalle sue percezioni alterate. Quando Nina cerca disperatamente il suo “lato oscuro” perde coscienza e subentra Lily che prende il sopravvento sulle scelte e sulle abitudini della protagonista.

Una via di mezzo tra “Doctor Jekyll e Mr. Hyde” e “All about Eve” anche se in questo caso l’altra Eva sembra essere ancora Nina; Lily non è che un suo sdoppiamento?

Dove siamo disposti a spingerci per realizzare i nostri sogni? Fino a che punto può arrivare lo scarto tra noi e il nostro altre ego per diventare quello che vogliamo essere? Per ottenere quello che vogliamo avere?

La locandina promozionale del film è fortemente simbolica. Rappresenta la rottura emotiva della protagonista. Qui Nina sembra una bambola di porcellana che cadendo si è crepata in volto. Quante volte infatti Nina Sayers cadrà durante lo svolgimento della storia? Sia fisicamente, durante le prove alienanti che il regista Thomas Leroy le impone con rigore e pressione ma soprattutto a livello emotivo?

Una scena cardine della pellicola è quando Nina percorrendo un vicolo newyorkese vede passare una donna vestita di nero che ha il suo stesso volto, ma non il suo stesso sguardo. Lo sguardo della protagonista, infatti, è sempre perso e fragile. Quello della donna che le passa a fianco è fiero, forte e languido. Natalie Portman, (Oscar miglior attrice 2011 per il film in questione), è incantevole e sorprendente nel mettere insieme l’ambivalenza emotiva del suo personaggio. Da un lato la bambina spaventata, dall’altro la donna che si batte con tutto il suo fervore erotico per raggiungere il suo sogno.

La figura del regista Thomas Leroy rafforza queste figure. Infatti sia la Nina bambina, che la Nina donna emergente, vedono il coreografo come un mentore. La Nina bambina si immagina che Leroy la voglia sedurre, quella donna che sta diventando sempre di più l’incarnazione vivente del “Cigno nero”, Lily, lo seduce. Nina immagina che la prescelta per interpretare l’eterna opera ciaikovskiana sia un’altra, in un secondo tempo che voglia sostituirla. In realtà Leroy fin dall’inizio vuole solo Nina, nonostante abbia delle titubanze a riguardo delle fragilità della ballerina che all’inizio sembra perfetta ma solo per interpretare il “Cigno bianco” . Questo porta il regista a spronarla con fare arrogante e quasi intimidatorio, arrivando a umiliarla pubblicamente. Tutto precipita quando subentra Lily e la storia sembra diventare un gioco al massacro tra le due danzatrici di cui è Leroy a tenere le fila. Ma questo è ancora una volta solo nella testa di Nina. È a questo punto che si inizia ad entrare nell’intimità della vita celata dalla Portman. La giovane compie azioni autolesionistiche per trovare nel suo giovane corpo delle vere e proprie ali arrivando a scorticarsi la schiena con le unghie e ad avere delle allucinazioni dove quel suo giovane corpo diventa ibrido: a metà strada fra un cigno e una donna.

Un’altra scena è fondamentale nello sviluppo della tragedia, il giorno della I la madre invidiosa della figlia non la sveglia e fa di tutto per fermare Nina che deve correre in teatro: qui la follia prende il sopravvento su entrambe le donne, dal suo atelièr dove dipinge centinaia di volti di ballerine terrorizzati e terrorizzanti la madre inveisce su Natalie Portman, lei di ripiego è convinta di aver passato con Lily, di aver avuto con lei un rapporto orale e che sia stata ancora lei a non svegliarla. Per l’ennesima volta la ragazza assale se stessa, in un crescendo dove lo sdoppiamento della personalità devasta la realtà dei fatti e crea una doppia lettura, dove ormai anche allo spettatore più attento sfugge quale sia davvero l’effettività dei fatti. Lily esiste? Lily è solo una proiezione? Nina ha ferito Lily a morte con un frammento di specchio nel suo camerino?

Il finale inquietante rafforza ogni dubbio dello spettatore. Nina ha ferito a morte se stessa. Si capisce nell’istante in cui Lily bussa alla porta per complimentarsi con la collega poco prima dell’ultimo atto. Lily esiste dunque … Non è una proiezione reale ma quell’altro io in cui la protagonista ha riposto tutte le sue ispirazioni, ma anche le sue negazioni e frustrazioni. Nina entra in scena per l’ultimo atto e la sua immensa Odette si butta da un precipizio per trovare la morte, ormai vittima del sortilegio che la vorrebbe cigno di giorno e donna di notte per l’eternità.

Aronofsky lascia questa sospensione su Nina/Lily. Lily/Nina fino alla chiusa dello spettacolo con sottili riverberi … solo in alcune scene infatti Lily è presente anche per gli altri ma sono anche quelle scene dove Leroy mostra a Nina quanto Lily sia più spontanea di lei : << Guarda, guarda come si muove è precisa ma senza sforzo: lei è il sesso>> . Scene dove tutto quello chi Nina vede e sente potrebbe essere una sua ulteriore distorsione della realtà.