Trainspotting (1996): Recensione
Trainspotting, recensione del film diretto da Danny Boyle con protagonista Ewan McGregor. Uscito nelle sale britanniche il 23 febbraio 1996
VOTO MALATI DI CINEMA (8,5 / 10)
Trainspotting è la genesi di un cult generazionale che ha animato le menti di molti cinefili. È tratto dall’omonimo romanzo di Irivine Welsh del 1993.
Numerosi registi hanno provato ad addentrarsi, col cinema, dentro il mondo della droga: Danny Boyle stesso con questo suo secondo lungometraggio, oppure Darren Aronofsky con il suo Requiem for a dream, avvalendosi di una regia e montaggio superlativo per dare al pubblico le sensazioni negative, quasi come se le stessimo vivendo noi (e succede anche in Trainspotting) per farci allontanare da questa cruda realtà.
Nessuno, però, prima di Boyle, aveva mai mostrato la realtà nuda e cruda, ma anche mentalmente aperta, come fece lui, che col budget di 1,5 milioni di sterline, diede vita ad un piccolo capolavoro destinato a rimanere impresso nell’immaginario collettivo negli anni a venire.
Siamo in Scozia, precisamente ad Edimburgo, il film segue la quotidianità del protagonista Mark Renton e quella dei suoi amici, che, come lui e tanti altri giovani scozzesi, hanno rinunciato ai beni materiali della vita e hanno scelto di vivere solo per la droga, specie per l’eroina; non hanno ideali o aspirazioni e il loro futuro, agli occhi degli spettatori, è sempre più nero.
I giorni dei protagonisti passano tra rapine, droga, inseguimenti e tanti altri guai. Essi odiano il loro paese, la loro famiglia, la loro routine, ed è come se fossero in una spirale di negatività che cesserà di girare appena avranno modo di continuare a drogarsi.
Il regista, partendo da questo presupposto, decide di dividere il film in sequenze, esattamente tre.
Nella prima, illustra lo stile di vita fuorviante del gruppo, tutto ciò accompagnato dalla voce fuori campo del protagonista, Mark Renton, interpretato da Ewan McGregor, ancora agli inizi della sua carriera, che scoppierà proprio con questo film, e poi, con la saga prequel di Star Wars.
Come non citare, ad esempio, la sequenza con i titoli di testa in cui vediamo i protagonisti del film inseguiti dalla polizia, in seguito ad un taccheggio, e proprio qui, Renton, dichiara con la sua voce in fuori campo (insieme alla sua voce vi è anche un grande pezzo di Iggy Pop, Lust for life), il suo punto di vista sulla vita:
“Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxitelevisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete un mutuo a interessi fissi; scegliete una prima casa; scegliete gli amici; scegliete una moda casual e le valigie in tinta; scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo; scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina; scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi; scegliete un futuro; scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos’altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l’eroina?”
La seconda parte del film dà spazio alle conseguenze delle loro scelte immature, dei loro sbagli e si passerà da processi giudiziari ad overdose, fino ad arrivare a morti improvvise. Da citare, senza ombra di dubbio, la sequenza dell’overdose di Renton. Egli, dopo aver subito un processo giudiziario che lo “condanna” ad un programma di riabilitazione, con la sua voce fuori campo ci spiegherà che, nonostante tutto, ha ancora voglia di un’ultima pera (un’ultima dose) e decide quindi di andare da Madre superiora che non è altro che il suo personale spacciatore. Qui, entra in gioco il montaggio cinematografico: Renton è su un muretto, si accovaccia e salta, ci troviamo di fronte ad un uso spettacolare del montaggio analogico che serve a far “volare” il protagonista dal muro, dal quale salta, proprio a casa di Madre Superiora, nella quale quasi precipita dall’alto, simulando così, il suo arrivo sulla scena attraverso un grande salto.
Qui, da Madre superiora, Renton tornerà nel mondo della droga, si inietta la dose, straordinario anche qui il montaggio con una serie di raccordi sullo sguardo verso la siringa e, proprio qui, vi è il ritorno alla spirale: l’overdose. Dopo aver iniettato la dose, notiamo come Renton volge il suo sguardo all’insù, è in estasi; qui parte un altro brano che vale la pena menzionare, Perfect Day di Lou Reed, che ci accompagnerà fino alla fine della sequenza. Proprio quando parte il brano, Renton, che si trova su un tappeto rosso, sprofonda letteralmente in esso, quasi come se il tappeto fosse una fossa mortuaria, tutto ciò per simboleggiare le conseguenze della droga.
Madre superiora lo soccorrerà come meglio può, semplicemente scendendolo dalle scale e chiamando un taxi, che lo porterà all’ospedale dove gli verrà iniettata una dose di adrenalina grazie alla quale egli vedrà la luce, quasi come se stesse riemergendo dal tappeto rosso, metaforicamente la sua tomba.
Da notare anche l’importanza del brano di Reed, soprattutto nel finale, mentre le infermiere stanno soccorrendo Renton, partono i versi «You’re going to reap just what you sow», cioè «Raccoglierai ciò che hai seminato», conseguenze che pagherà, pochi minuti dopo, nella sequenza in cui i genitori lo barricano in camera, ed egli cadrà in un’astinenza profonda.
La terza parte del film invece è quello che sembra un momento di redenzione da parte di Renton, egli va a Londra, per iniziare una nuova vita, ma ecco che tornano a bussare alla porta i suoi amici di Edimburgo. Renton però è cambiato, non sopporta più i suoi amici, non li vuole addirittura in casa, proprio per questo accetta un ultimo colpo, il più grande, cosicché essi possano tornare ad Edimburgo soddisfatti, lasciandolo nella sua nuova tranquillità; il colpo consiste nella vendita di un lotto di eroina, che andrà secondo i piani previsti. Ma il finale cambia le carte in tavola, Renton decide di tradire i suoi amici rubando tutti i soldi del colpo, decide di scegliere la vita, uniformandosi a ciò che si può definire “normale”, che suona come la peggiore delle prigioni.
La scena finale è geniale, vediamo la trasfigurazione del suo volto, dallo spaventato alla risata, tutto ciò mentre la sua immagine si avvicina e va fuori fuoco, accompagnata, come sempre dalla sua voce fuori campo che come l’inizio è un monologo: “Allora perché l’ho fatto? Potrei dare un milione di risposte tutte false. La verità è che sono cattivo, ma questo cambierà, io cambierò, è l’ultima volta che faccio cose come questa, metto la testa a posto, vado avanti, rigo dritto, scelgo la vita. Già adesso non vedo l’ora, diventerò esattamente come voi: il lavoro, la famiglia, il maxitelevisore del cazzo, la lavatrice, la macchina, il cd e l’apriscatole elettrico, buona salute, colesterolo basso, polizza vita, mutuo, prima casa, moda casual, valigie, salotto di tre pezzi, fai da te, telequiz, schifezze nella pancia, figli, a spasso nel parco, orario d’ufficio, bravo a golf, l’auto lavata, tanti maglioni, natale in famiglia, pensione privata, esenzione fiscale, tirando avanti lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai.”