Lacci (2020): Recensione
Lacci, recensione del film diretto da Daniele Luchetti, tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone. Uscito nelle sale italiane il 30 settembre 2020
VOTO MALATI DI CINEMA (7 / 10)
Daniele Luchetti è un regista interessante, esponente di un cinema autoriale e popolare. “Il portaborse” e “La scuola” sono tra le migliori pellicole italiane degli anni 90; “Mio fratello è figlio unico” e “La nostra vita” sono degli ottimi film. Dopo le prove più incerte degli ultimi anni (Io sono Tempesta, Momenti di trascurabile felicità), che avevano comunque degli spunti interessanti, ci riprova con “Lacci”, tratto dall’omonimo libro di Domenico Starnone, uno dei migliori romanzi degli ultimi anni.
Il disagio familiare
“Lacci” è composto di tre atti. Nel primo si racconta la crisi della coppia Luigi Lo Cascio-Alba Rohrwacher negli anni 80; nel secondo, ai giorni nostri, c’è la coppia ormai anziana (Silvio Orlando-Laura Morante) riconciliata ma con una tensione che cova. Il terzo atto risolutivo vede i due figli cresciuti Giovanna Mezzogiorno-Adriano Giannini. Potrebbe sembrare la classica storia di corna e tradimenti, il solito dramma borghese ma in “Lacci” c’è qualcosa di diverso. È una specie di thriller psicologico, con un finale a sorpresa che getta una luce diversa sul senso del film. Il più grande pregio del film è la visione totalmente pessimista della nostra istituzione più importante: la famiglia. Tutti i personaggi sono negativi, si fanno volutamente del male tra di loro, mogli e mariti, figli compresi. Ma il film non li giudica. Questo disagio familiare è una novità in un film mainstream italiano che non vuole assolutamente rassicurare il pubblico.
I bambini ci guardano
“Lacci” distrugge la concezione tradizionale di famiglia. In Italia la famiglia è sacra, i lacci, i legami familiari devono resistere nonostante tutto, sennò si fa finta di niente. Spesso si torna insieme per il bene della famiglia ma si fa solo del male a sé e agli altri. I due da anziani sono tornati insieme ma lo spettatore può capire che la loro vita è stata un inferno. E a pagare l’infelicità dei genitori sono i figli. È questa la chiave del film. “Lacci” ci dice che le azioni dei genitori, le loro ire e i loro egoismi ricadono sui più piccoli, che li porteranno con sé per il resto della vita (ottima la scena in cui la madre picchia suo marito e l’amante per strada, girata senza audio dal punto di vista della figlia che assiste in macchina). Ma i figli qui non sono delle vittime, nel finale liberatorio e cattivo, ormai grandi si rivoltano in maniera inedita contro i loro genitori.
Un dramma teso e affilato
Luchetti gira un dramma teso, affilato come una lama di coltello, che si prende i suoi tempi. “Lacci” è pieno di dialoghi di densità letteraria, ma il regista rende il film quanto più cinematografico possibile, con un montaggio che va avanti e indietro nel tempo e una struttura narrativa originale. È un melodramma in cui si parla sottovoce, si dicono e si compiono cattiverie senza sottolinearle. Prevale il non detto ma il senso di ciò che accade è chiaro, “Per stare insieme bisogna parlare poco, l’indispensabile” dice a un certo punto Aldo/Silvio Orlando. Nel sottofinale si sfoga ed urla dopo anni in cui è stato in silenzio. Ed è la scena migliore del film. Luchetti sta vicino ai personaggi, si muove in interni, abbandonando completamente le città di Napoli e di Roma, delle quali non si vede nulla. Ed è uno sbaglio, perché non sono uno sfondo qualsiasi.
La recitazione di alto livello
La recitazione è l’aspetto migliore del film. Se Morante è credibile nelle vesti di Rohrwacher anziana, ripetendone gesti e voce, l’accostamento tra Lo Cascio e Orlando è impossibile. Orlando, con la sua voce strozzata, è troppo caratterizzato. La scelta di casting può essere criticabile ma meglio quattro attori capaci che attori somiglianti tra loro che non sanno recitare (anche se sarebbe stato interessante dare più spazio alla coppia anziana). Ottimi anche i figli con una Mezzogiorno irriconoscibile. Il livello recitativo è alto e si candidano tutti ai premi di stagione.
Il cinema medio
“Lacci” rappresenta pienamente il cinema medio italiano, però con un po’ di cattiveria in più. Un cinema che parla al grande pubblico ma senza scadere nella banalità. Parte della critica pensa che questo sia un cinema vecchio, ma “Lacci” è buon cinema popolare nel senso più alto del termine, quello che pochi ormai fanno, tra le commedie disimpegnate e un’autorialità sempre più autoreferenziale.