Le iene – Reservoir Dogs (1992): Recensione

Le iene (Reservoir Dogs), recensione del primo lungometraggio diretto da Quentin Tarantino. Uscito nelle sale statunitensi il 23 ottobre 1992

VOTO MALATI DI CINEMA 8.5 out of 10 stars (8,5 / 10)

Reservoir Dogs, è senz’altro il primogenito della postmodernità. Primo lungometraggio di Quentin Tarantino, è il puro manifesto dell’idea di cinema tarantiniana (forse, anche più di Pulp Fiction). Ma cosa intendiamo per postmodernità? Dai labirinti poetici ed autoriflessivi neorealisti, dal tempo, come flusso incessante di un divenire imminente e portatore di novità, approdiamo ad un cinema, apparentemente vuoto di senso, sconnesso, inorganico, depositario di immagini, frammenti e reminiscenze, dove il tempo, si neutralizza e si annulla, esplode.

Reservoir Dogs è un film su una rapina in una gioielleria (il nome della gioielleria è Karina’s wholesale diamonds, grande omaggio ad Anna Karina, grandiosa attrice della Nouvelle vague); a Los Angeles, otto rapinatori, si riuniscono in un capannone, dove gli saranno assegnati dei nomi per mascherare la loro identità, diventeranno infatti: Mr. White, Mr. Orange, Mr. Pink ,Mr. Brown,Mr. Blonde, Mr. Blue.

La rapina, però, non finisce bene: Mr.Blonde, inizia una sparatoria, scappa e prende in ostaggio un poliziotto. Mr. Pink, si domanda come abbiano fatto gli agenti ad arrivare così presto sul posto, e si insinua così l’idea di un inflitrato nella banda. Inizia così la caccia all’infiltrato, senza pietà, si uccidono a vicenda, i due superstiti, Mr. White e Mr. Orange, sono i protagonisti del famosissimo stallo alla messicana: si trovano nel capannone, insieme a Joe Cabot ed Eddie il bello, i due ideatori del colpo, quando, Mr. White, per difendere Mr. Orange, punta la pistola su Joe; Eddie per difendere il padre, la punta su Mr. White. Mr. White e Mr. Orange, restano gravemente feriti, Mr. Orange confessa di essere l’infiltrato, la polizia giunge al capannone, spara a Mr. White che poco prima aveva sparato Mr. Orange. Il Mexican Standoff, è un classico esempio di intertestualità, pratica diffusa nel cinema contemporaneo: si tratta di un metodo che partendo da una eterogeneità di elementi narrativi diversi (appartenenti a stili, pratiche e opere diverse) costruisce nuove immagini e nuovi mondi di senso. In questo caso è confessato il riferimento a Sergio Leone, e ad una delle più famose del Western all’italiana, il triello de “Il buono, il brutto e il cattivo” (1966). “Give me a Leone” gridava un giovane Tarantino al suo direttore della fotografia, sul set di Reservoir Dogs. La pratica intertestuale però, non va confusa con un montaggio sterile e infecondo di “pezzi” di altri film presi qui e lì, ma considerato come la matrice generative del cinema contemporaneo e di quello tarantiniano per eccellenza. La ritroveremo infatti in tutti i suoi film: da Pulp Fiction (1994), a Kill Bill Volume 1 e Volume 2, (rispettivamente 2003-2004) e Bastardi senza gloria (2009), fino a C’era una volta a… Hollywood (2019).

Reservoir Dogs, è quindi un film su una rapina, dove però non c’è una rapina- Tutto l’intreccio è infatti anteriore o posteriore ad essa. All’inizio del film aspettiamo di vedere la rapina, nella seconda parte, siamo consapevoli che Tarantino non ce la farà mai vedere. È l’evento scatenante, che resta fuori campo, la narrazione, si sviluppa infatti sulle circostanze e le conseguenze che circondano la rapina fantasma. Andrè Bazin, parla del campo come un ritaglio provvisorio e temporaneo, una sorta di cristallizzazione passeggera; il fuori campo è un prolungamento del campo, un pezzetto di mondo, che esiste e preme per diventare campo. La continuità ontologica tra i due, la contiguità, è sfruttata all’estremo da Tarantino, il quale gode masochisticamente nel non farci vedere, ma facendoci percepire una presenza sovrastante, quella delle cose, che non possiamo vedere.

Exemplum, è la scena del taglio dell’orecchio, interpretata magistralmente da un grandissimo Michael Madsen (Mr. Blonde) e intertestualmente ripresa dal taglio dell’orecchio di Sergio Corbucci in Django (1966). Vittima è il poliziotto preso in ostaggio, legato e torturato da Mr. Blonde per il puro piacere di farlo: Madsen prende il rasoio in mano, si avvicina lentamente, ma, la macchina da presa, compie un leggero movimento a sinistra, escludendo dalla nostra porzione di campo le due figure. Il nostro campo è una delle porte del magazzino, sulla quale giganteggia una stampa ben visibile “Watch Your Head”. L’occhio autonomo della macchina da presa, decide quindi di guardare altrove, e noi, siamo completamente impotenti e anche leggermente presi in giro, dal regista che ci ricorda, “di stare attenti alla testa”. Questa indimenticabile sequenza è preceduta dalla danza macabra di Mr. Blonde sulle note di “Stuck in the Middle with You” di Stealers Wheel.

L’inizio del film ha luogo in un bar dove, le Iene, intorno ad un tavolo, dialogano sul significato di “Like a Virgin” di Madonna, insinuando le teorie più oscene e bizzarre, e provocando anche una reazione della cantante, che successivamente inviò a Quentin una copia dell’album, complimentandosi e rispondendo per la rime alla sua insinuazione: “It’s not about a big dick, it’s about love”. E’ possibile rintracciare qui un’altra caratteristica portante del cinema tarantiniano, la logorroicità. La logorrocità diventa sintomo di una contemporaneità sempre più bollente: l’horror vacui, la paura del vuoto, per la quale si tende a riempire il campo sonoro con parole inutili, insignificanti, con discorsi svuotati di senso; l’esempio è proprio quella della conversazione sul significato del testo della cantante statunitense.

Ultimo elemento, è quello della narrazione esplosa, che tradisce la narrazione cronologica lavorando sull’impossibile stesura lineare della narrazione. Ellissi, flashback, flashforward costruiscono una struttura dove è difficile rintracciare il principio o il termine delle vicende, dove il momento presente sembra effimero, inafferrabile, inesistente.

Il cinema di Tarantino ha il grande merito d’aver dato forma al cinema che meglio rappresenta il nostro secolo. Il consumo rapido, l’insensatezza dei discorsi, la perdità di etica e di moralità, la perdità di spazi e temporalità appartiene al suo cinema, come appartiene al presente che stiamo vivendo.