Le vite degli altri (2006): Recensione

Le vite degli altri, recensione del film diretto da Florian Henckel von Donnersmarck. Uscito nelle sale tedesche il 23 marzo 2006

VOTO MALATI DI CINEMA 8.5 out of 10 stars (8,5 / 10)

Berlino Est, 1984. La Stasi è la principale organizzazione di sicurezza e spionaggio della Germania Est, il cui scopo è quello di monitorare i comportamenti dei cittadini tedeschi in modo da impedire rivolte contro il governo, costringendo chi si ribella ad abbandonare la propria posizione sociale, lavorativa o accademica.

Il capitano Gerd Wiesler è un abile agente della Stasi. Taciturno, glaciale, conduce una vita arida completamente votata al lavoro. George Dreyman invece è un affascinante regista teatrale, fidanzato con la bellissima attrice Christa Maria. Gli artisti nella Germania del tempo sono considerate persone pericolose poiché uomini liberi, ma lui sembra attenersi alle regole del partito.

Due vite così lontane, come quelle di Dreyman e di Wiesler, si incontreranno ma senza mai toccarsi. Il ministro della Cultura Bruno Hempf vorrebbe trovare prove contro il regime a carico dell’artista. Si affida quindi a Wiesler, il quale intuisce che l’artista nasconde qualcosa. Wiesler si mette in ascolto di ogni parola di Dreyman ed entra nella sua vita, scoprendo un ambiente di intellettuali che di nascosto cercano di ribellarsi al regime, restando sempre più affascinato dall’oggetto della sua indagine.

Il potere dell’arte
Wiesler, durante le sue intercettazioni, viene gradualmente travolto dalla bellezza dell’arte. Inizia a vacillare quando ascolta una poesia di Brecht, ma con una suonata al pianoforte (“La sonata degli uomini buoni”) verserà la sua prima lacrima. Ed è il momento cruciale, a partire dal quale inizia la metamorfosi. Il potere dell’arte gli fa capire da che parte stare. Wiesler aiuterà Dreyman, a sua insaputa, mettendo a repentaglio la propria carriera.

In un paese in cui gli uomini di cultura sono messi a tacere, in cui è altissimo il tasso di suicidi degli intellettuali, è proprio la cultura ad indicare ad un uomo la strada giusta da percorrere. Entrando nella vita di un altro scopre la pochezza della sua vita. Wiesler è un deus ex machina in grado di modificare gli eventi, un uomo che ha il potere di controllare le vite degli altri, deciderne i destini e capovolgerne gli eventi. Ora diventa regista come Dreyman, dirigendo la sua vita e salvandolo.

Sul finale non si può non piangere. Una persona di cui ignori l’esistenza ha salvato la tua vita ma è destinata a rimanere nell’anonimato. Verrà ricompensato attraverso l’arte il quale è destinata all’immortalità.

Un melodramma sobrio
Le vite degli altri (titolo meraviglioso) è un vero thriller. La sceneggiatura è perfetta, calibrata al millimetro, il susseguirsi degli eventi è preciso. È un melodramma sobrio e rarefatto. La regia evita virtuosismi, non sovrasta la storia ma la accompagna. La fotografia mostra una Germania livida ma affascinante. Il film è degno di nota anche solo per il protagonista Ulrich Muhe nel ruolo della vita, capace di emozionare in sottrazione, senza muovere un muscolo. Nella sua glaciale imperturbabilità è in grado di far percepire il suo cambiamento anche solo con un movimento di occhi. Un attore strepitoso che morirà pochi mesi dopo il successo del film lasciando così la sua interpretazione nella storia del cinema.

Una storia quasi vera
Questa storia non è una storia vera ma è come se lo fosse. Il clima opprimente del periodo è descritto attraverso un’apparente normalità ancora più inquietante. Un paese in cui un intero popolo è oggetto di spionaggio. Un regime totalitario mascherato da democrazia, in cui hanno tutti una maschera, in cui tutti in fondo recitano. Le vite degli altri è un film fondamentale perché parla di una delle pagine più importanti della recente storia tedesca. Ed è uno dei migliori film degli ultimi 20 anni.