Still Alice (2014): Recensione

Still Alice, recensione del film diretto da Richard Glatzer e Wash Westmoreland con protagonista Julienne Moore. Uscito nelle sale statunitensi il 16 gennaio 2015

VOTO MALATI DI CINEMA 8 out of 10 stars (8 / 10)

La cinquantenne Alice Howland (Julianne Moore) ha tutto quel che si possa desiderare: un ottimo lavoro come insegnante alla Columbia University e una bellissima famiglia formata da John (Alec Baldwin), marito premuroso e adorabile, e dai loro tre figli, Lydia (Kristen Stewart), Anna (Kate Bosworth) e Tom (Hunter Parrish).
Si direbbe una vita perfetta, la sua, ed effettivamente lo è, se non fosse per alcune piccole amnesie che l’affliggono e che col passare dei giorni sembrano farsi più frequenti.
La visita presso un neurologo le restituisce un verdetto che sembra spazzare ogni certezza: è affetta dal morbo di Alzheimer.
Alice, però, è decisa a non lasciarsi sopraffare dalla malattia e a lottare sino all’ultimo per godere della propria famiglia e di quello che lei stessa è (“Non sto soffrendo. Sto lottando per rimanere parte della vita. Per restare in contatto con quella che ero una volta”).
L’avanzare inesorabile del male non la piegherà, ma le insegnerà a non voltarsi indietro e ad apprezzare quel che le resta.
Sarà così sino all’inevitabile epilogo che, pur nella sua drammaticità, saprà offrire momenti d’intima dolcezza.

E’ facile scadere nel patetico per film come questo solido dramma, tratto dall’omonimo romanzo della neuroscienziata Lisa Genova.
Ma se “Still Alice” ha conquistato le platee di tutto il mondo, ciò è dovuto principalmente al suo rifuggire dal tono compassionevole e melodrammatico.
La coppia di registi Glatzer-Westmoreland sceglie il basso profilo. Preferisce alla comoda narrazione struggente un racconto misurato e sommesso nell’evidente intento di evitare ogni tipo di speculazione.
Ne esce un racconto introspettivo, lontano dal colpo di scena e plasmato sull’interpretazione monstre di Julianne Moore – giusta vincitrice dell’Oscar 2015 come miglior attrice protagonista – qui ai limiti della perfezione nel rendere, col graduale spegnersi dello sguardo, il senso dello scivolamento nel vortice della malattia.
“Still Alice”, dunque, rifugge da ogni distrazione narrativa che rischi di allontanare lo spettatore dall’epicentro del dramma, ma senza cercare il furbesco colpo ad effetto. Perché, laddove strappa una lacrima, lo fa con pudore. Quello stesso a cui gli autori sembrano richiamare il pubblico, quasi a ricordargli che, al di là della finzione cinematografica, resta la dura realtà dei malati veri, che, proprio come Alice, vivono la tragedia della perdita di sé.
E’ forse questa la ragione della delicatezza che connota il film, ideale ma un po’ troppo consolatorio monito che non ogni cosa si disperde, perché, in fondo, resta quel che si è stati, ciò che si è costruito, l’amore che si è dato; quell’amore che può ancora effondersi con un sorriso inatteso come un bagliore nella notte.

Contribuisce alla fortuna di “Still Alice” la colonna sonora di Ilan Eshkeri, dalle musiche tenui e delicate perfettamente funzionali alla descrizione degli stati d’animo della protagonista e dei suoi familiari.
Buone risultano anche le interpretazioni fornite da Baldwin e dalla Stewart, entrambi abili nel giocare di sottrazione e nel fornire il giusto supporto alla Moore.
Qualche incertezza, invece, mostra la sceneggiatura – realizzata dagli stessi registi – che, se, da un lato, presenta dialoghi sobri ed efficaci, dall’altro, scade nel topos abusato del figliol prodigo (nella fattispecie, la ribelle Lydia che si redime con l’avanzare della malattia materna) e, più di tutto, disegna in maniera troppo superficiale i personaggi degli altri figli, Anna e Tom, al punto da relegarli in un ristrettissimo cono d’ombra nel quale praticamente scompaiono.
Ma al di là dei difetti che non ne scalfiscono significativamente il valore, “Still Alice” è nel complesso un film di notevole fattura, che riesce nell’intento di raccontare “da dentro” il morbo d’Alzheimer, creando un filo diretto tra spettatore e protagonista, anche grazie al ritmo ampio che consente il giusto approfondimento psicologico ed evita furbesche ridondanze.
Dunque, “Still Alice” è un dramma credibile. Ed è, in definitiva, proprio questa credibilità il suo vero punto di forza; quella che fa sì che il racconto non debordi nel “puramente patetico”, nel lacrimone a tutti i costi.
Senza forzature, né escamotages, “Still Alice” tocca le corde emotive nella giusta maniera, offrendosi come spunto di riflessione piuttosto che come cartolina illustrativa. Scava nell’angoscia della protagonista, cercando l’immedesimazione di chi guarda. Ottiene l’effetto commozione – certo – ma senza trucchi e senza inganni, affondando con sincerità le sue radici nell’angoscia di chi, all’improvviso, vede la propria vita sconvolta da un male tanto crudele quanto inesorabile.
Lo spettatore attento non potrà che gradire e ringraziare.

Profondo